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La differenza tra l’addio a Del Piero e la telenovela Totti

Sono ancora in tanti – ahinoi la maggioranza – gli appassionati di calcio che sorridono e sbeffeggiano chi ricorda loro l’incidenza dell’ambiente sui risultati sportivi. Calcistici in questo caso specifico. E non parliamo soltanto del Napoli che ha avuto bisogno del più forte calciatore del mondo – e di una squadra con quattro-cinque personalità da leader – per vincere due scudetti, una Coppa Uefa, una Coppa Italia e una Supercoppa Italiana, oltre a due secondi posti e un terzo. Pochi chilometri più su, la Roma è sicuramente la squadra di calcio che ha perduto più scudetti, che negli ultimi anni ha collezionato più secondi posti e che col miglior giocatore italiano degli ultimi quindici anni ha vinto la miseria di un campionato e ne ha buttati non sappiamo quanti.

Tra Napoli e Roma ci sono poche differenze. In entrambe le città il calcio è una passione insana. E non è per nulla azzardato affermare che nella capitale si parli di pallone persino più che da noi. A Roma, da almeno cinque anni, non sanno come affrontare il pensionamento di Totti. Totti, la bandiera, il pupone, Roma, il capitano. Insomma, loro. Non che a Roma siano tutti “tottiani”; non è vero. Sono tanti, questo è sicuro. Ci sono gli irriducibili ma ci sono anche i ragionevoli, quelli che desidererebbero una chiusura pacifica, che mai e poi mai potrebbero sopportare una porta sbattuta in faccia al capitano e che magari in cuor loro pensano che Spalletti ha ragione però non si tratta così Francesco. Sono gli stessi che magari, più di una volta, confessano che “sì, Totti è un problema ma come si fa?”.

Ecco, come si fa. A Torino, sponda bianconera, questo problema non se lo sono posti nemmeno. Giusto o sbagliato che sia, loro sanno come si fa. Alla Juventus prendono il secondo calciatore più rappresentativo degli ultimi quindici anni (che sia stato il secondo più forte o sia più giù nella gradutoria è relativo, secondo chi scrive è più giù ma è poco importante) e lo mettono alla porta con un preavviso di un anno. “Caro Del Piero, non ci servi più”. E la maglia numero dieci nel giro di poche settimane finisce sulla schiena di Tevez. Che la indossa due anni, torna in Argentina, e la lascia a Pogba. Qualche juventino ha mugugnato ma la Andrea Agnelli non ha mai tentennato. Le storie finiscono, anche i grandi amori. E quello tra Del Piero e la Juventus è stato sicuramente un grande amore. 

A Torino il trattamento fine rapporto di Del Piero ha impegnato al massimo due consigli d’amministrazione. A Roma il pensionamento di Totti è argomento principale da cinque anni. Poi si può discutere o meno quale calcio piaccia di più. Ma è un dato che senza Del Piero la Juventus ha vinto tre scudetti consecutivi, mentre la Roma è ancora lì aggrappata al gol del 3-3 a Bergamo e ce l’ha col cattivo Spalletti che ieri, tra le tante dichiarazioni, ne ha detta una che è passata in secondo piano: «Quel gol lì Totti lo segna pure tra tre anni». A modo suo, è un grande complimento. Ma nella contesa pollice su/pollice verso, questa frase è andata perduta. È rimasto, com’è ovvio, il feroce scontro tra i due.  

Facendo i debiti scongiuri, se oggi noi tifosi del Napoli ci sentiamo leggermente più tranquilli in prospettiva Champions League è perché a Roma sono in tutt’altre faccende affaccendati. A Torino, quando erano sotto in classifica, bastò che si affacciasse Buffon dalla porta dello spogliatoio e dicesse: «Chi non è da Juve si faccia da parte». Punto. Finita la discussione. E infatti ci hanno superati. Probabilmente, anzi sicuramente, la diversità antropologico-culturale a Roma e a Napoli viene sbandierata con orgoglio. Così come loro fanno con i titoli vinti.

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