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Non possiamo condannare Higuain per la sua rabbia d’amore

Non possiamo condannare Higuain per la sua rabbia d’amore

Come tante altre volte in questa stagione, oggi è il giorno di Higuain. Verrebbe quasi da dire “un” giorno di Higuain, tanto ormai ci siamo abituati. Solo che, rispetto alle altre tante volte, il giorno di Higuain di oggi ha un sapore amaro. Come a Bologna, più che a Bologna. Allora fu doppietta nel finale in una partita sbagliata dalla squadra, ma solo per quanto riguarda le cose di campo. Oggi, alle cose di campo si sono aggiunte quelle della testa. Della squadra, inquieta; dell’allenatore, nervoso e in confusione. E poi anche dello stesso Higuain, che alla fine esplode. Ed esplode male, prendendosi il primo cartellino rosso della sua esperienza italiana e gesticolando una reazione furiosa che non gli era mai appartenuta.

Al principio, sembrava una partita come tante. Cioè, non proprio: il Napoli è parso subito una squadra diversa, inferiore a sé stessa e all’Udinese. Poi però è arrivato Higuain, un fulmine nel gioco azzurro e nella porta di Karnezis per un 1-1 che non era nemmeno meritato, ma che sembrava poter restituire il solito Napoli ai suoi soliti novanta minuti più recupero. Invece no: il rigore subito dopo, pur se sventato da Gabriel, ha preannunciato il pranzo nefasto dei napoletani, reso ancor più indigesto dall’evoluzione imprevedibile della partita e di una direzione arbitrale che non giudichiamo, ma che perlomeno si presta a molteplici interpretazioni.

Solo che, l’ha detto anche Sarri, una grande squadra deve saper reagire a queste pressioni. Higuain non ce l’ha fatta. Quando nella ripresa la misura gli è parsa colma, è letteralmente uscito fuori dai panni. Ha prima sbattuto la palla a terra, che è un comportamento da giallo. Poi possiamo discutere quanto volete sulla stupidità di questa regola, ma intanto c’è. Poi è scoppiato poche azioni dopo, sull’ennesimo tocco da dietro un po’ malandrino, un po’ di mestiere, di Felipe (o Danilo o Heurtaux non sarebbe cambiato niente). Reazione chissà quanto dura o forte per davvero, ma comunque da ammonizione (almeno). Sempre da regolamento, ovviamente. Espulsione giusta, anzi sacrosanta. O meglio, non so: chi scrive, a caldo, ha urlato che Higuain “non ha fatto niente, nemmeno l’ha toccato”. Non è questo il punto:  c’è stata una reazione, il calciatore era già ammonito. Se ne va sotto la doccia. Senza se, e senza ma. Le polemiche, poi, le facciamo dopo. Intanto, facciamo la cronaca.

E la cronaca, successiva al cartellino rosso, racconta di un’esplosione di rabbia e delusione e frustrazione e lacrime. Una roba vera, umanamente condivisibile. Subito dopo, sui social, sono cascati a pioggia messaggi di sostegno e adesione. Higuain è così, e paga una partita balorda e un periodo stranissimo. Perché non venite a dire che un essere umano possa non avere neanche minimamente risentito degli ultimi giorni di polemiche col suo nome dentro. Il contratto, il trasferimento, la clausola. Impossibile che Gonzalo Higuain sia rimasto impassibile, e scusateci il gioco di parole. La sceneggiata di oggi è stata una cosa, Massimiliano Gallo docet, a metà tra Pasquale Bruno che nessuno riesce a mantenere e Francesco Totti che butta a terra il suo preparatore personale. È il dispiacere di un attaccante con la testa e il cuore da bambino a cui stanno togliendo il miraggio di un Natale o un’estate felice. Un attentato di tutti, nella sua mente: dell’arbitro, dell’Udinese, di quei compagni che lo mantengono mentre cerca di farsi giustizia da solo. La verità è che, in quel momento, l’unico che sta sgualcendo il sogno di Gonzalo Higuain è proprio Gonzalo Higuain. Che peccato, davvero.

Eppure, non dobbiamo sentirci né in dovere né tantomeno nella posizione di condannarlo. No, non dobbiamo e tantomento possiamo. E non per i 30 gol in campionato, record storico per un calciatore del Napoli in una singola stagione. Nemmeno per la dimensione di fuoriclasse planetario, perché viene dal Real Madrid o perché si chiama Higuain e noi restiamo sempre e comunque il Napoli. No, niente di tutto questo. Non possiamo condannarlo perché tutto quello che avete visto oggi, è frutto dell’amore che Gonzalo Higuain ha verso di noi. Intendiamoci: probabilmente, giocasse nell’Orebro in Danimarca, sarebbe la stessa cosa. Non è l’amore di chi nasce in un posto e lo difende a spada tratta, ma del trapiantato che si sente investito dalle responsabilità. E sta andando incontro a un errore, a un fallimento, a un dispiacere da dare a tanti e che comunque non dipende tutto da lui. Sarri l’ha definito attaccamento, noi abbiamo rilanciato con “amore”. Una cosa che Higuain ha dentro da sempre, fin da quando, dopo Napoli-Arsenal, si sciolse in un pianto dirotto perché il suo primo Napoli era stato eliminato dalla Champions League. A 12 punti, per la regola crudele della differenza reti. Fu una cosa bella, anche perché era da tanto che il San Paolo non vedeva una cosa così. Ritrovare questo amore negli atteggiamenti di un argentino, poi, ci inebriò particolarmente.

Oggi, tutto quello che avete visto è figlio di quella notte di Champions, di questo campionato bellissimo che sta finendo senza il trionfo e di una voglia matta di darsi e dare felicità. E della rabbia per non esserci riuscito, nonostante le cose strabilianti disegnate finora. È Higuain. Mettetevi voi, nei suoi panni, e provate a non esplodere. A non fare così. Tutto sbagliato, ma tutto amore. Per il gioco, per un sé stesso vincente, ma anche per chi ha creduto e stava credendo in lui. Higuain va condannato, ma solo dal giudice sportivo e per i regolamenti che ha violato. Merita la squalifica lunga che gli sarà comminata. Così come l’applauso che riceverà quando tornerà al San Paolo. In quella che ora è casa sua. Anche secondo lui.

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