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Torino ha il dipinto di un ignoto, Napoli ne svela la storia. La “Santa Caterina” di Ricca a Palazzo Zevallos

Torino ha il dipinto di un ignoto, Napoli ne svela la storia. La “Santa Caterina” di Ricca a Palazzo Zevallos

Si inaugura questa sera alle 18, presso le Gallerie d’Italia di Palazzo Zevallos Stigliano la mostra “Intorno alla Santa Caterina di Giovanni Ricca. Ribera e la sua cerchia a Napoli”, dedicata alla pittura napoletana della prima metà del Seicento.

L’esposizione, che nasce dalla collaborazione tra Intesa Sanpaolo, la Fondazione Torino Musei e il Dipartimento di Scienze Umane e Sociali dell’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”, è stata già presentata nella sede della Fondazione torinese di Palazzo Madama, nel dicembre scorso: quella napoletana è una versione rivista ed ampliata, della quale formano parte integrante alcuni dipinti che fanno parte della collezione di Gallerie d’Italia a Napoli.

La mostra ruota attorno all’attribuzione a Giovanni Ricca della paternità di uno dei dipinti più affascinanti e misteriosi del Seicento italiano, la Santa Caterina d’Alessandria (risalente al 1630 circa) appartenente al torinese Museo Civico di Torino, Palazzo Madama, attribuzione accertata da Giuseppe Porzio, dell’Università Orientale, curatore della mostra. Partendo da questa attribuzione ufficiale, l’esposizione consente di ripercorrere un momento fondamentale dell’arte italiana del Seicento, contrassegnato dall’impatto del genio del grande artista spagnolo Ribera che, giunto a Napoli al seguito del vicerè duca di Osuna nel 1616, vi restò fino alla sua morte, nel 1652, influenzando l’arte napoletana del tempo.

Accanto alla Santa Caterina di Palazzo Madama, la mostra presenta alcune delle principali opere, quasi tutte di recente attribuzione, di Giovanni Ricca, contribuendo a delineare per la prima volta un profilo completo dell’artista. Tra queste spiccano la monumentale “Trasfigurazione”, del 1641, prima conservata nella chiesa di Santa Maria della Sapienza a Napoli e poi nel Palazzo della Prefettura napoletana e il “Martirio di Sant’Orsola”, della Fondazione De Vito, alla sua prima uscita napoletana. Ribera è presente nella mostra con due opere del 1620 circa, ma ci sono anche tele di altri artisti che hanno stretto legami con Ribera e Ricca: Hendrick De Somer, Francesco Guarino e il cosiddetto Maestro degli Annunci ai pastori, con tre opere appartenenti alla collezione permanente delle Gallerie di Palazzo Zevallos.

L’affascinante storia del dipinto è stata raccontata questa mattina in una presentazione al pubblico della mostra, a Palazzo Zevallos: «Il dipinto fu acquistato dal Museo Civico di Torino di Palazzo Madama nel 2006, perché proveniente dalla collezione di Giulio Einaudi – racconta Enrica Pagella, direttore dei Musei reali di Torno – Era molto bello, ma non attribuibile ad alcun autore. Ci interrogammo a lungo sull’opportunità di pagare un prezzo così elevato per un ignoto, anche se aveva una gran bella cornice che forse in parte ripagava lo sforzo economico, ma lo acquistammo perché proveniva dalla casa di Giulio Einaudi ed era quindi indice di un gusto presente in una casa molto importante della nostra città. Aveva uno sguardo magnetico, per noi era come la sorella di Antonello da Messina. Ci dicemmo che mentre Antonello sarebbe stato al primo piano, lei sarebbe stata al secondo: questi due sguardi sarebbero stati i due nuovi sguardi di Palazzo Madama. Era una bella scommessa, certo, poteva diventare un pittore famosissimo. Così decidemmo di acquistarlo». Il dipinto è rimasto nella collezione torinese fino a quando, a Natale, il Museo dà in prestito a Palazzo Zevallos Antonello: «Prestare un’opera così prestigiosa a Napoli sotto Natale ha scatenato aspre polemiche in città, come potete immaginare – ha spiegato Pagella – Bisognava in qualche modo pensare a un risarcimento per la collettività. Mentre ragionavamo su come fare, abbiamo visto il libro di Giuseppe Porzio, lo abbiamo chiamato e abbiamo trovato subito una risposta entusiastica”. Nasce così la prima esposizione torinese dell’opera.

L’attribuzione del dipinto a Giovanni Ricca non è meno interessante: «La scoperta della paternità del dipinto è avvenuta quasi per caso – racconta Giuseppe Porzio, curatore della mostra e responsabile dell’attribuzione – Mancavano appigli di tipo biografico, il nome del pittore appariva solo in calce nel transito di pagamenti. Ho avuto la fortuna di individuare gli atti di un “processetto matrimoniale” conservati presso l’Archivio Diocesano: Ricca stava per sposarsi e si presentò davanti all’ufficiale della Curia per dichiarare il suo stato civile libero. Era una prassi eccezionale per un napoletano: era obbligatorio farlo solo per i forestieri, ma era stato smarrito il suo certificato di battesimo per cui fu chiamato a dichiarare le sue generalità e anche le sue frequentazioni davanti a dei testimoni. Dagli atti si scopre che è nato nel 1603 e che è napoletano ma anche che risiedeva nella parrocchia di Sant’Anna di Palazzo. Dai registri della parrocchia sono poi venuti fuori i battesimi dei figli con la partecipazione, come padrini, di altri pittori dell’epoca, il che ha aperto una rete di relazioni tra le figure. La persona che sposa Ricca è Caterina Rossa ed è emblematico che il suo quadro più famoso sia il “Santa Caterina” con questo colore vermiglio delle vesti e dei capelli, ricorrente nel corpus di Ricca. Nello stesso “processetto” compare anche un certo Diego da Molina noto per aver testimoniato al processo matrimoniale di Ribera, punto di intersezione e traccia di rapporti biografici tra i due artisti. Nel 1656 si perdono le tracce di Ricca nella documentazione, quindi è probabilmente quella la data della sua morte, ma ci sarà ancora da lavorare».

Giuseppe Porzio si sofferma anche sullo stile pittorico di Ricca, sulla sua figura di artista: “Era coetaneo di Vaccaro, più anziano di Cavallino, ma fino a qualche anno fa pressoché sconosciuto anche ai più informati, neppure contemplato nei repertori della pittura italiana del ‘600, non per demerito, ma per una serie di equivoci interpretativi. Il riesame delle poche tracce disponibili e la ricerca documentaria hanno restituito l’immagine di un pittore di primo livello. Rispetto a Ribera, Ricca porta avanti un discorso diverso, meno scontato, approfondisce l’eleganza formale e la raffinatezza coloristica che è un tratto importante nella pittura italiana del ‘600. Ci restituisce un’immagine molto più complessa della pittura napoletana rispetto a quella finora fissata negli studi. Il merito della mostra è la possibilità di guardare e ripensare a certe gerarchie di valori fissate da una tradizione di studi. Vedo concretizzarsi e realizzarsi le mie ricerche, è un’occasione per me irripetibile, il sogno di tutti gli studiosi».

Il catalogo della mostra, a cura dello stesso Porzio, è un aggiornamento di un volume da lui scritto nel 2014, “La scuola di Ribera”, in cui si era già soffermato su Ricca e sulla cerchia di pittori vicini al pittore spagnolo: «In quel libro avevo stilato l’elenco di circa 50 opere attribuibili a Ricca. Nei lavori preparatori di questa mostra ne sono emersi altri due o tre significativi. Molti sono in quadrerie private, ma ci sono anche importanti dipinti d’altare. Adesso che è ben riconoscibile, è probabile che ne individueremo altri con più facilità».

Con l’attribuzione a Giovanni Ricca, la “Santa Caterina” acquista un nuovo lustro ma insieme ad essa i Musei Reali di Torino sono riusciti a portare a Napoli anche un altro dipinto appartenente alla loro collezione: «Abbiamo sdoganato anche un Ribera conservato nella Galleria Sabauda, “Cristo alla colonna” – racconta Enrica Pagella – Lavorando al catalogo ci siamo resi conto che avevano un dipinto che era un frammento perfetto di questo racconto. Due quadri torinesi, di due istituzioni diverse, per la prima volta legati dalla scoperta di questo autore napoletano».

La direttrice dei Musei reali di Torino si sofferma anche sull’attualissima polemica relativa allo spostamento di opere d’arte da un museo all’altro: «I nostri patrimoni sono ancora pieni di ricchezze segrete che aspettano solo di essere svelate. C’è tutto un movimento contro il viaggio delle opere, ma se la società è fatta da persone che si spostano continuamente è giusto che si muovano anche le opere, insieme agli uomini, perché le opere sono il prodotto dell’attività degli uomini in questo mondo. Tutto ciò naturalmente deve portare all’armonizzazione tra le esigenze del pubblico e quelle di conservazione, studio e valorizzazione. In questo ambito si muovono i direttori di musei, il cui ruolo, oggi, è molto diverso da quello di un tempo».

Soddisfatti dell’apertura della mostra anche Antonio Denunzio, coordinatore di Gallerie d’Italia Palazzo Zevallos Stigliano, e Michele Coppola, responsabile del Progetto Cultura di Intesa Sanpaolo: «Abbiamo chiesto a Torino un prestito importante – racconta Coppola – e il fatto che ce lo abbiano concesso è per noi un titolo di credito quasi insospettato: in un momento in cui è in difficoltà, un museo si priva di un pezzo importante della sua collezione e decide di dare giusta attenzione a un bellissimo dipinto di attribuzione recente che conservava nella sua sede. A Torino nasce l’idea di far tornare a Napoli la “Santa Caterina” e altri dipinti per un percorso espositivo che aiuti a capire ancora di più le ragioni dell’attribuzione a Ricca. Non si poteva fare tutto questo senza l’Università che oggi ci racconta la storia di questa attribuzione. È un esempio straordinario di collaborazione tra pubblico e privato che parte dai contenuti e li celebra, li esalta».

Gallerie d’Italia – Palazzo Zevallos Stigliano. Via Toledo, 185, Napoli. Da martedì a venerdì dalle 10 alle 18; sabato e domenica dalle 10 alle 20; lunedì chiuso. T: 800454229 www.gallerieditalia.com Biglietto congiunto valido per la visita alla mostra e alle collezioni permanenti. Intero 5 euro; ridotto 3 euro.

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