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Il lungo addio di Zuniga al Napoli: una separazione trascinatasi troppo ha rovinato l’intero rapporto

Il lungo addio di Zuniga al Napoli: una separazione trascinatasi troppo ha rovinato l’intero rapporto

Due anni e mezzo di incomprensioni, silenzi e, soprattutto, pochissimo calcio. Sembra finalmente arrivato al termine l’infinito e tormentato rapporto tra il Napoli e Juan Camilo Zúñiga, il terzino colombiano che dall’agosto del 2013 a oggi ha messo insieme appena 18 presenze con la maglia azzurra. Eppure quello tra il colombiano e la società di Aurelio De Laurentiis è un rapporto lungo, che dura quasi sette anni e tocca quattro allenatori del Napoli post-fallimento (che in totale ne ha avuti sei). 

Il primo Zúñiga è un giocatore importante, uno di quelli che gli esperti definiscono un “acquisto indovinato”: l’arrivo nell’estate del 2009 (uno degli ultimi colpi di Pierpaolo Marino), l’esordio a Palermo con Donadoni e poi le difficoltà a inserirsi in un modulo che non prevede terzini di ruolo e ha già Maggio come uomo di fascia destra. L’arrivo di Mazzarri cambia il Napoli e cambia pure Zúñiga: il difensore puro di Siena si trasforma in un efficace tornante di sinistra, piede invertito e dribbling continui. È una sensazione positiva di quel Napoli che arriva in Europa League dopo aver duellato per un quarto posto che allora valeva la Champions. L’anno successivo, quello del terzo posto, è quello della sua consacrazione: Zúñiga è titolare fisso in campionato e in Europa, a volte si ricicla anche come secondo trequartista nel modulo ibrido di Mazzarri. Due gol in campionato, i primi con la maglia azzurra: quello dell’uno a zero a Catania e quello che vale la Champions, nella sfida decisiva all’Inter.

La terza stagione è ancora positiva (altri due gol in campionato, uno bellissimo contro il Genoa), e registra anche la sua prima partecipazione alla Champions: nella notte di Londra contro il Chelsea, sul risultato di 2-1 per i londinesi, va vicinissimo a segnare quello che probabilmente sarebbe stato il gol-qualificazione, facendosi ipnotizzare da Cech che gli devia il tiro sul palo. Poi l’annata 2012/2013, l’ultima a pieno regime: 32 presenze iniziali, 6 assist e la certezza di essere entrato nel gotha europeo del ruolo.

Da qui comincia il down, e non è facile ripercorrere tutti i momenti di questi due anni e mezzo, tormentati da un’infinita serie di infortuni. Oggi sembra incredibile a dirsi ma Zúñiga è un pezzo importante della storia recente del Napoli, ha scritto pagine belle che iniziano a rovinarsi proprio da qui. Secondo i maligni, i problemi di Zúñiga cominciano quando, tra estate e autunno del 2013, si fa un gran parlare di squadroni interessati ai suoi servizi (secondo alcuni, per lui, oltre alla Juventus, si scomodò addirittura il Barcellona). Il primo Napoli di Benitez lo elegge terzino sinistro titolare, lui ricambia interpretando bene il ruolo e facendo pace col pubblico con il gol nell’amichevole col Galatasaray (e saltellando al coro del “chi non salta è juventino”). Un peccato l’autogol nella sfida col Borussia Dortmund, che alla fine risulterà decisivo nella differenza reti che elimina gli azzurri a dodici punti nel girone. Il rinnovo del contratto, firmato con tanto di annuncio in pompa magna durante la trasferta londinese del Napoli per la sfida all’Arsenal, pareva aver appianato tutte le divergenze di mercato con la società. Il rinnovo è datato 1° ottobre, così come il match coi Gunners. L’ultimo giocato da titolare prima di uno stop che viene inizialmente giustificato con un intervento al menisco, prognosi di un mese, ma che poi dura l’intera stagione.

Passarono sotto silenzio, nei giorni successivi all’operazione, le dichiarazioni del professor Mariani che lo operò a Villa Stuart. «L’intervento è stato plurimo, perché la lesione non era una rottura dove è facile riparare o comunque sistemare il problema. Aveva i postumi di una meniscectomia che aveva subito sette o otto anni fa per cui la situazione era un po’ più complessa. Aspettate a cantare vittoria: io riparo, non guarisco. Le manifestazioni degenerative ci sono e restano. Gli effetti negativi di una meniscectomia  esterna ci sono stati e ci saranno. Ho promesso al Napoli che proverò a portare Zuniga così com’era l’anno scorso. Il colombiano ha avuto un incidente di percorso, un trauma sull’articolazione che ha rotto un equilibrio». Le domande, che a oggi restano insolute, sono: il colombiano è stato abile a nascondere la situazione al Napoli? Come mai la società non aveva individuato prima del rinnovo la gravità del colombiano?  

Il paradosso è che dopo una stagione vissuta da spettatore, Zúñiga rientra negli ultimi due match di campionato, giusto in tempo per prepararsi al Mondiale e diventare l’incubo del Brasile intero: sarà proprio lui, con una violenta ginocchiata, a chiudere ai quarti la Coppa del Mondo di Neymar.

La stagione successiva, giusto l’ultima, la musica non cambia: Zúñiga salta il maledetto preliminare con l’Athletic ma poi pare riprendersi, con sei gare da titolare nelle prime sette di campionato. Dopo, è di nuovo buio: scompare dalla lista dei convocati, per ricomparire direttamente a marzo nella doppia sfida contro la Dinamo Mosca (17 minuti tra andata e ritorno, da panchinaro) e per 9 minuti di Napoli-Fiorentina 3-0. Infiammazioni e terapie al ginocchio, ogni settimana, sono le motivazioni che giustificano la sua assenza dalla lista di Benitez. Come buona abitudine, eccolo riemergere con la maglia della Colombia: nella Copa America 2015 gioca tre partite da titolare, poi l’avventura finisce ai quarti contro il Brasile.

Il resto è storia recente. L’arrivo di Sarri, le zero convocazioni e un’esclusione permanente che è un oblio. Il trasferimento a Bologna sancisce la fine di un incubo per lui e di un grande equivoco per il Napoli, prigioniero di un contratto davvero importante (roba da 3,2 milioni di euro l’anno, secondo al solo Higuain) che forse ha fatto in modo che le cose andassero proprio così. Ovvero male, per un finale amaro dopo le prime quattro, bellissime stagioni.

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