Inutile scalciare e, soprattutto, basta con queste fastidiose proteste. La ramanzina è arrivata, ferma e puntuale, ma non ci ha sorpreso perché eravamo preparati: l’italica diabolica abilità di cambiare le carte in tavole vale una medaglia d’oro alle Olimpiadi della finzione. La verità uscita dalla stanza dei bottoni dello sport, il Coni per intenderci, è che nessuno ha colpa, il mare non bagna Napoli – se non sbaglio lo aveva già detto qualcuno, ma si riferiva ad altro – e per questi motivi è sacrosantamente giusto che le regate olimpiche (eventuali) del 2024 si svolgano a Cagliari che, com’è noto, vanta nella vela trascorsi straordinari ottenuti grazie ad una condizione meteomarina eccellente che ad agosto si esalta grazie al supporto di un vento costante e propizio per i regatanti. Roba che a Napoli, com’è noto, ci sogniamo. Se qualcuno ci crede alzi la mano.
In alata sintesi, questo è il pensiero del megapresidente del Coni Giovanni Malagò e tutti gli hanno creduto. All’istante, come è doveroso allorquando il Capo sale in cattedra. Questa volta, però, l’ossequio potrebbe non essere sufficiente in quanto, come “il Napolista” ha accertato, il fronte già autorevolissimo della protesta continua a raccogliere adesioni. E dopo quelle dell’(ex) onorevole Luciano Cimmino uscito spontaneamente da Montecitorio perché deluso dalla politica, del presidente onorario della Federazione velica Carlo Rolandi – nove olimpiadi nel suo carniere anche come prodiere del mitico Tino Straulino che preferì il vento del nostro Golfo al “suo” mare nordico – segnaliamo oggi il nome di Lapo Elkann che al patron di Carpisa-Yamamay ha dichiarato di essere disponibile a sostenere le buone ragioni di Napoli capitale della vela mondiale. E ha convenuto sull’opportunità di formare un Comitato, presieduto da Carlo Rolandi, che darà battaglia per ottenere che alla città partenopea venga riconosciuto un primato che le appartiene almeno dal 1960, l’anno magico della nostra storia sportiva quando tutte le teste coronate del mondo vennero a rendere omaggio alla regina della vela: due eventi indimenticabili – nei saloni di Palazzo Serra di Cassano che ben difficilmente si concedono e sulla terrazza della Canottieri Napoli in una notte magica solcata dai fuochi di artificio che illuminarono il Vesuvio – consegnati alla storia della sport. E purtroppo ignorati dai “signori” preposti a imbandire le modeste tavole dei nostri giorni. Forse esageriamo a battere sul tasto della modestia ma la motivazione alla base della scelta di Cagliari, seguita alla decisione di escludere Napoli perfino dalla lista di dieci eventuali location, è davvero un capolavoro di furbizia non marinara applicata allo sport. Ecco il passo illuminante: «La candidatura di Cagliari ha preso forza dopo la presentazione di un dossier della Federazione internazionale…..personalmente ero convinto che si andasse in tutt’altra direzione e avevo affetto verso qualche altra destinazione tra cui Napoli». La firma è di Giovanni Malagò che per l’occasione, o perché costretto dall’evidenza delle ragioni di chi protesta, si è rifugiato in un linguaggio criptico che aiuta a non far capire.
Qual è il dossier che “punisce” Napoli? e quali sono le condizioni meteo marine che sanciscono l’assenza di vento nel nostro Golfo? Vorremmo leggere i capi di accusa, ma tutto resta nel vago e l’arma vincente è il gioco dello scaricabarile: per il Coni la responsabilità è del Comitato di esperti del quale fa parte il napoletanissimo Francesco De Angelis; per la Federazione, invece, la colpa è delle istituzioni napoletane che non si sono fatte sufficientemente sentire. Balle. Tranne il riferimento al silenzio assordante di Palazzo San Giacomo, che è autentico, perché “a palazzo” nessuno ha ritenuto di seguire l’evoluzione di una vicenda che, come avvenne per l’America’s Cup, non tiene conto delle giuste aspirazioni della città. Per mettere una pezza, ora si tenta di salvare capra e cavoli elargendo contentini: un girone eliminatorio del torneo olimpico di calcio, che, com’è noto, non è il massimo delle aspirazioni possibili, e il torneo di pallanuoto. Che è nelle nostre corde, al pari della vela, ma è difficile da sostenere senza strutture adeguate. Potremmo costruirle, si potrebbe obiettare, ma qui entriamo in un altro ordine di problemi e le figuracce rimediate con i Giochi del Mediterraneo (1963) e i mondiali di calcio del ’90 consigliano di stendere un velo pietoso sulle nostre capacità operative. Come stiamo dimostrando con il restyling del San Paolo.
Carlo Franco