Malcolm Pagani intervista per il Fatto quotidiano Neri Parenti, regista tra l’altro di “Vacanze ai Caraibi”. Ne riportiamo, da Dagospia, gli estratti in cui parla del suo rapporto con Aurelio De Laurentiis.
Lei sulle flatulenze aveva già dato in Vacanze sul Nilo.
Lì ero stato costretto da De Laurentiis. Aurelio è un vero maniaco di quella comicità. Si era innamorato del tema fino a farci un film con Tognazzi, Il petomane.
Perché ha lasciato De Laurentiis?
Non l’ho lasciato, ci siamo lasciati. Non avevamo più la stessa idea. Lui si orientava verso un tipo di commediola che non mi convinceva, ma il casus belli fu Colpi di fulmine. Avevamo scritto per De Sica un soggetto molto divertente, ma Aurelio si impuntò su un prete che si innamorava. Faceva schifo e a un certo punto io e De Sica, decisi a non girare, andammo anche dal nostro avvocato, lo stesso di De Laurentiis, in cerca di una scappatoia legale. Fu secco: “Volete ancora avere un tetto sulla testa? Allora vedete di fare il film e di farlo in fretta”.
I rapporti di oggi?
Buoni. Pensi che poco dopo la rottura tornammo insieme per mancanza di alternative: “Io non ho trovato una mia storia, tu non hai trovato il tuo nuovo regista, perché non facciamo un altro giro?”. Aurelio ti rompe i coglioni 100 volte. 90 volte ha torto, ma quando ha ragione, ce l’ha veramente. Se hai forza e carattere per sopportare il peso del resto senza andare ai matti, puoi intrattenere un ottimo rapporto. Non tutti ce la fanno. Mentre preparavo un film, nella stanza accanto vidi un giovane regista che aveva pronta un’opera sulla periferia romana. Aurelio gli girava intorno: “La periferia va bene, ma è meglio se ci metti qualche poltrona Frau”. Tornai dopo due giorni e trovai il ragazzo peggiorato. Si voleva buttare dalla finestra. Non scherzo.
Hanno litigato anche Boldi e De Sica.
Lo pensano tutti, ma non è vero. Con De Laurentiis, io, Boldi e De Sica avevamo lunghi contratti. Quello di Massimo finì prima del nostro e si trattò di ridiscuterlo, ma Medusa gli fece una proposta indecente. Allora Massimo andò da Aurelio con un fagotto di pretese, soprattutto autoriali, perché viveva la sindrome del milanese in esilio e temeva il complotto: “Altrimenti non controllo e poi a Roma Parenti e De Sica mi scrivono tutto il film contro”. Era una follia e Aurelio che forse avrebbe ceduto sui soldi, ma su certe cose è spietato, gli mostrò la porta.