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La rabbia degli esclusi oggi si affida a Twitter. Vendrame si vendicò di Vinicio trent’anni dopo con un libro

La rabbia degli esclusi oggi si affida a Twitter. Vendrame si vendicò di Vinicio trent’anni dopo con un libro

“Collettivo con scontenti” potrebbe essere uno dei titoli che hanno sempre contraddistinto il mondo del pallone, ovvero da quando un allenatore trova la “quadratura del cerchio” e la squadra inizia a giocare bene, i titolari diventano sempre gli stessi e le riserve sono destinate a scaldare la panca per il resto della stagione tranne qualche sostituzione che si rende necessaria al momento. Naturalmente ci sono anche coach che continuano a ruotare gli elementi e a fare il turn over (con quali risultati non si sa….) ma quando si trova un assetto che dà risultati, è veramente notte fonda per chi spera di giocare almeno qualche gara e non spezzoni e minutaggi inutili e dannosi. Fattori legati al modulo, alla forma psico-fisica o semplicemente perché l’allenatore non “ti vede” sono fondamentali nelle esclusioni, spesso eccellenti, di chi si aspettava di giocare di più. Il Napoli di Maurizio Sarri, cui “bastano 18 giocatori per fare un colpo di stato”, sembra incarnare al meglio questa teoria, che fu già di Mazzarri coi suoi “titolarissimi”, che rimanda alle rose di una volta, quelle dove giocavano sempre gli stessi. Attualmente questo Napoli ruota intorno ai 16 giocatori, non di più. Qualche chance, tra Europa League e campionato, l’hanno avuta finora Mertens, Chiriches, David Lopez, El Kaddouri, Maggio e Gabbiadini, il resto della rosa sta pensando a quale tipo di coperta portarsi in panchina per scaldarsi in pieno inverno. Sarà un bel piumone o un plaid scozzese? Detto ciò, il Napoli è, quindi, una squadra all’antica? Il mister fa bene a tenere questa linea di condotta? Se i risultati vengono, perché no?

Tra i nomi sopra citati, al di là del dualismo tra Insigne e Mertens, esploso recentemente ma gestito bene dalle parole del mister toscano, è emblematico il caso di Manolo Gabbiadini, re di Coppa ma svagato e poco incisivo nel minutaggio concessogli in campionato. Un talentuoso, non dobbiamo dirlo in questa sede, ma anche chi ha queste qualità può stare fuori visto le “bombe atomiche” che abbiamo in avanti. Il puntero triste è destinato a giocare poco, ahimè, a meno che non succeda qualcosa ad uno degli altri attaccanti. Questo Manolo lo sa e le dichiarazioni di Sarri, che lo ha battezzato «vice Higuain» anche dopo le brillanti prestazioni di Coppa, sembrano andare tutte in questa direzione. Piuttosto c’è da discutere della sua insofferenza alla panchina, alla sua reazione, al viso mogio delle inquadrature televisive. Lui, tramite il suo procuratore, ha già inviato segnali alla società, ha fatto sapere a tutti di non essere contento della situazione e temiamo che più non giochi e più non entri in forma. Ma come lo ha detto? Ovviamente, in un’era dove anche le dichiarazioni post partita avvengono col contagocce, attraverso i social network, con un tweet della settimana scorsa. Poche, laconiche, parole per un’impazienza che è più che mai evidente. Un “cinguettio”, si dice così oggi, per chiedere di giocare di più e mandare messaggi all’allenatore. Il tutto in tempo reale.

Adesso faccio una divagazione. Nell’ultimo mese, da quando il Napoli di Sarri sta divertendo e fa gioire il popolo azzurro col suo gioco spettacolare e redditizio, ho notato una crescita esponenziale delle interviste a Luis Vinicio e paragoni, anche irriverenti, con la squadra che “i napoletani faceva divertire” nel biennio 1973-5. Anche al Tg3 Carlo Verna ha tirato in ballo per l’ennesima volta gli azzurri di metà anni ’70 mettendoli sul podio insieme alla compagine di Bianchi del 1988 e a quella di Sarri di questo anno. Non vorremmo scomodare il detto felsineo del “Si gioca così solo in Paradiso” coniato da un Fulvio Bernardini particolarmente orgoglioso del Bologna che vinse lo scudetto nel 1964 ma poco ci manca. Quella squadra, cui tutti i napoletani sono legati, fa pensare ad un amore che mai finirà e che solo “O’ lione” di Belo Horizonte seppe plasmare e fare sua. Questo fervore, questo voler paragonare a tutti i costi le due squadre nasconde, però, delle insidie legate principalmente al tipo di gioco adottato dalle due compagini. Bello e spettacolare quello di Sarri, basato su verticalizzazioni e possesso palla, tocchi precisi e ravvicinati, azioni insistite sulle fasce dove il dialogo col compagno più vicino diventa sacrosanto ma soprattutto una grande qualità dei singoli e dell’attacco in particolare. Bello e spettacolare anche quello di Luis Vinicio ma con caratteristiche di gioco che non corrispondono affatto al Napoli del tecnico toscano. Quello di De Menezes aveva l’aspetto di una fisarmonica che si allungava e si restringeva in base alle azioni, fatte del principesco dinamismo di Orlandini e La Palma, del fuorigioco che Burgnich chiamava ed i soldatini Bruscolotti e Vavassori eseguivano alla perfezione, di improvvise folate offensive in cui si attaccava anche con gli esterni, azioni tambureggianti e pressanti dove giocava un ruolo fondamentale lo svariare delle punte, da una parte Clerici coi suoi dribbling sulle fasce e dall’altra Braglia e Massa che poi cercavano e trovavano l’affondo. I centrocampisti avevano tutti i piedi buoni e quindi Esposito, Rampanti e Juliano trovavano sempre il passaggio giusto per penetrare nell’area avversaria. Allora dove sono queste benedette affinità, se ci sono? Per chi si è affrettato a fare paragoni vorrei ricordare come quei “leoni” ruggenti che a metà degli anni ’70 fecero risplendere il sole a Fuorigrotta, illuminandolo di bel gioco anche nelle giornate di pioggia, facevano affidamento esclusivamente sul “collettivo” e sull’utilizzo di un numero ristretto di giocatori. Sono questi, forse, gli unici punti in comune tra le due squadre.

Eppure, ritornando all’attualità, anche quella squadra era un “collettivo con scontenti”. Non erano Troja, Mascheroni, Punziano, Ripari, Ferradini, Albano o Landini, giocatori a cui bastava fare panchina, ma un veneto atipico. Il suo nome era ed è Ezio Vendrame, acquistato dal Vicenza nel mercato di riparazione di novembre. Come e quando abbiamo saputo che Vinicio non “vedeva” di buon occhio il barbuto giocatore, tutto genio e sregolatezza, la cui gigantografia campeggia ancora oggi nella curva biancorossa? Trenta anni dopo, attraverso i libri che il genietto di Pordenone ha scritto dopo essersi inventato una nuova carriera di romanziere “pasoliniano”. «Come passa il tempo», diceva Totò, altro che immediatezza del tweet dell’agente di Gabbiadini! Nel 1974-5 Vendrame, pur essendo stato chiesto da Vinicio, giocò solo tre spezzoni di partita, partendo sempre dalla panchina. Nel 2002 ha pubblicato “Se mi mandi in tribuna, godo” dedicandolo a Vinicio. Della serie “Non è mai troppo tardi”.
Davide Morgera

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