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Albiol analizzato da Freud: «È il capro espiatorio dei tifosi del Napoli»

Albiol analizzato da Freud: «È il capro espiatorio dei tifosi del Napoli»

Ad ogni stagione del Napoli spetta il suo colpevole. Il giocatore contro il quale più di ogni altro sembra polarizzarsi il malcontento generale, al di là di ogni ragionevole punto di vista. In uno sport che prevede undici atleti in campo, e rose di oltre venti calciatori, la piazza, grande o piccola che sia, riesce ad individuare senza indugio il singolo, l’irriducibile che venga riconosciuto origine di tutte le massime colpe: dei gol subiti, dei risultati non ribaltati, dell’intensità che scarseggia, dell’impegno che latita, del gioco incerto. Quest’anno il suo nome è chiaro, limpido ed inequivocabile.

“Il signor Raúl Albiol” sussurra netto il Dottor Freud, adagiato sulla sua poltrona, “il difensore che non impara. Il senatore. Sì, ho sentito in giro. ‘Non segue i movimenti della nuova ritrovata fase difensiva’ mi pare di aver letto.” Siamo sul lettino, in silenzio, ma stavolta alquanto esterrefatti: “Professore, ha preso a seguire il calcio napoletano?”. Mostra un abbozzo di sorriso all’angolo destro della bocca: “Io avrò anche preso a seguire il Napoli, ma mi pare di capire che voi non abbiate letto l’antropologo e filosofo francese René Girard. Uno che, oltre a criticarmi spesso, ha anche dedicato la sua vita allo studio del fenomeno sociale del capro espiatorio”. Apre la sua ordinatissima teca, sceglie un sigaro robusto guatemalteco.

“Tutto parte sempre da questo oggetto misterioso chiamato desiderio – ricordate?, ne abbiamo già discusso. Girard sostiene che il desiderio degli uomini sia triangolare: c’è un soggetto che desidera, c’è l’oggetto desiderato e c’è un mediatore, che indica cosa si debba desiderare. Gli uomini iniziano a coltivare il desiderio per imitazione: osservano l’attrazione di un proprio simile verso qualcosa, e cercano di emularlo. Finché, in una specie di ingannevole cortocircuito, l’oggetto del desiderio finisce con l’acquistare valore ai nostri occhi proprio perché c’è quel rivale a contendercelo. Ora, se i fatti non ci ingannano, il vostro desiderio è chiaro, ma ancora più caro è il vostro mediatore-rivale: il primo si chiama Scudetto, il secondo si chiama Juventus Football Club. Che, come vi ho detto la scorsa volta, voi napoletani avete nel cuore.”Stavolta ridiamo anche noi: “Ci scusi, Professore, ma questa ci sembra una ipotesi bislacca decisamente da scartare. Non c’è nulla che abbia trovato più raffigurazioni escrementizie, materiali ed immaginarie, nella storia di Napoli, della famosa Signora.”

Il Dottor Freud, che ha tostato la testa del sigaro color cuoio, ora lascia cadere il fiammifero e risponde: “Se ciò che diciamo indicasse banalmente ciò che noi vogliamo, io sarei rimasto disoccupato per tutta la vita. Invece, ciò che dite a parole non corrisponde a ciò che desiderate, come per qualunque desiderio. Quanto dice Girard, invece, spiega bene perché Bonucci sia storicamente riuscito a riempire il San Paolo più di Reus o Özil. L’oggetto unico dei vostri desideri, per vostra stessa ammissione, è lo Scudetto – con il quale non si può barattare nulla, né le coppe che diventano coppette, né il ranking, né uno stadio nuovo, né i bilanci in attivo. E lo desiderate perché il vostro rivale-modello sono i bianconeri. Come spiega bene il collega francese, chi desidera l’oggetto che viene conteso prova per il suo modello un sentimento lacerante fatto di due opposti: venerazione e rancore. E l’unione di questi due sentimenti Girard lo chiama l’odio. La partita dell’anno é quella contro la Juve perché i napoletani odiano la Juventus (niente e nessun altro), le serbano il rancore invincibile per il gol di Altafini core ‘ngrato o per il dolore devastante dell’autogol di Ferrario nell’aprile dell’ ’81, ma la venerano come il modello di squadra vincente che essi vorrebbero diventare. Perché il desiderio è mimetico, si fonda sull’imitazione.”

“Di nuovo, la questione è, come abbiamo già detto, che a Napoli il desiderio latita. E’ una città che desidera poco. E come sempre accade quando l’oggetto del desiderio è unico, ci dice Girard, anche nel caso dello Scudetto ad assicurarselo può essere solo una squadra, condannando una intera tifoseria ad una frustrazione vasta e a tratti drammatica. Che monta fino a divenire violenza. Una violenza spesso controllata, che si cerca di incanalare, ma che assume le facce diverse, ma in ultima analisi complici, degli striscioni intimidatori contro la società e delle bordate di fischi ai propri colori. Chi non soddisfa il proprio desiderio, mancando il titolo, si sente soprattutto defraudato – poiché non desidera niente altro – ed è deciso a rispondere ad ogni costo a questa ingiustizia subita, vendicandosi.”

Ora il sigaro del Dottore assomiglia in tutto ad una sequoia in miniatura, come scriveva Gianni Brera.

“Il problema è che anche la vendetta è un desiderio, per cui anche essa corre di persona in persona tramite il meccanismo dell’imitazione: è l’attimo in cui lo stadio si trasforma e gli applausi scroscianti si rivoltano in invettive. La vendetta è un sentimento rapido, virale, ed è soprattutto una minaccia insopprimibile, perché è un processo illimitato: chi subisce vuole infierire su qualcun altro. E’ una catena apparentemente debole, ma nella realtà solida e perversa, come ha magistralmente mostrato Coppola in questa scena meravigliosa de “Il Padrino parte II” – la vendetta non si ferma se qualcuno non interviene in modo traumatico per spezzare questa catena attraverso un sacrificio. Così hanno fatto gli uomini per millenni: il mio collega francese ha passato una vita a mostrare come le civiltà di ogni parte del mondo abbiano da sempre istituito il sacro per oggettivare la violenza ed istituzionalizzare il sacrificio di una vittima deputato a spezzare questa catena. Lo so, voi mi direte che questo è troppo per un semplice campionato di calcio. Che sono chiacchiere da onanisti del pallone. Che il calcio è più semplice di così. Ma io vi rispondo con le parole del vostro poeta Pier Paolo Pasolini: ‘Il calcio è l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo. È rito nel fondo, anche se è evasione. Mentre altre rappresentazioni sacre, persino la messa, sono in declino, il calcio è l’unica rimastaci. Il calcio è lo spettacolo che ha sostituito il teatro’.”

Siamo sul lettino. In silenzio. Ma il Professore sembra un tranquillo fiume in piena, oggi:

“Il signor Raúl Albiol è solo l’ultima incarnazione di questa vittima sacrificale, il vostro famoso capro espiatorio cui Girard ha dedicato un celebre libro. Erano vittime anche Britos e Gargano, ma Albiol perfeziona tutti i tratti necessari individuati dal filosofo francese, e poiché non potete abbattere dall’oggi al domani la Juventus, che in cuor vostro avete reso l’unico ostacolo alla soddisfazione del vostro desiderio impellente, dovete trovare un alter ego, qualcuno sufficientemente indifeso da non rispondere alle botte inferte da stampa e tifo – il difensore rimasto unico legato allo spagnolo fuggito a Madrid – ma allo stesso tempo che ricordi in qualche modo l’odiato rivale bianconero – il blasonato iberico vincitore di trofei mondiali, dalla carnagione pallida, quasi sabauda. Chi, nel Napoli, è più juventino di Albiol? Il sacrificio deve essere una violenza senza rischio di vendetta, decine di migliaia contro uno solo. D’altra parte sull’altare sono saliti in tanti, dai giocatori di playstation ai portieri che pregavano troppo.” Poi prende qualche ritaglio di giornale, di qualche settimana fa, e legge:

In 3 partite sono stati presi 6 gol, con Albiol coinvolto. Albiol è il problema numero uno. Calma e gesso. Sarri fai pulizia!”Orrori i suoi, colpevole su entrambi i gol, a chi dice che ha giocato a Madrid e in Nazionale? Era una riserva in entrambi le occasioni, uniche stagioni da titolare a Valencia con Benitez”

Il fumo speziato e denso ha invaso il soffitto dello studio. Il Professore ci accompagna alla porta:

“C’è bisogno di una generazione di tifosi che abbia più desideri. Più vasti e più numerosi, soprattutto più complessi ed imprendibili di uno scudetto cucito in petto solo per il gusto di avercelo. Il desiderio di giocare, il desiderio di godere, anche il desiderio, smarrito, di stare male. Una generazione di tifosi che della partita della Juventus – anzi della Juventus stessa – una buona volta, ed in modo esemplare, se ne fotta.”
Raniero Virgilio

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