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Freud e il perché Napoli ignora i successi del figlio adottivo Pecchia. «Sa amare come una madre, non sa essere padre»

Freud e il perché Napoli ignora i successi del figlio adottivo Pecchia. «Sa amare come una madre, non sa essere padre»

Pochi minuti di anticamera, e siamo nello studio del Professore. Odore di tabacco. Ci adagiamo sul solito lettino. Sulla scrivania ha alcune pile di ritagli di giornali. Ne pesca una manciata, sfoglia ed inizia a leggere:

L’ex Ascoli Fabio Pecchia è il nuovo vice allenatore del Real Madrid. Dal Foggia al Real Madrid. Dai 25 mila posti del Pino Zaccheria agli oltre 85 mila del Santiago Bernabeu. In cinque anni. E’ questa la scalata di Fabio Pecchia da quando – nel 2009 – ha intrapreso la carriera da tecnico”

“E’ il bello del calcio. Oggi sei qui, domani altrove. Fabio Pecchia è da poche ore il nuovo allenatore in seconda del Real Madrid. Un po’ di Avellino nelle big d’Europa. Pecchia ora allena CR7”

“Fabio Pecchia al Real. Il tecnico pontino vice di Benitez sulla panchina delle Merengues. L’ex allenatore del Latina sarà l’allenatore in seconda della squadra dieci volte campione d’Europa“

Poi richiude, impila di nuovo sulla scrivania e mastica un po’ l’ultimo terzo di sigaro. E commenta:

“C’è qualcosa di incongruo, in questi tre ritagli. Anzitutto perché sono gli unici, o tra i pochissimi, che si scovano in rete e che riguardino le recenti vicende professionali del signor Fabio Pecchia. In secondo luogo perché provengono da un giornale dell’Ascoli, uno dell’Avellino, uno di Latina, e ciascuno di essi sembra intestarsi, assai volentieri, i legittimi natali dell’allenatore, quasi per trarne lustro. Infine, perché tra tutti questi ritagli, non ce n’è uno di un giornale napoletano che dedichi spazio ad un professionista che ha militato cinque anni nel Napoli da giocatore, e due da allenatore, vincendo anche qualcosa. Come mai?”

Sebbene l’anagrafe dica che Fabio Pecchia sia nato a Formia quarantadue anni fa, la sua carriera ha in abbondanza tutto il necessario perché la madre-Napoli lo consideri arruolabile nella schiera dei suoi figli. Cinque anni con la maglia azzurra, due sulla panchina, eppure la sua attuale esperienza madrilena non accende i fuochi d’orgoglio che di solito infiammano i petti napoletani che parlano di un fratello partito per farsi onore in terra straniera. Eppure la città ha accolto e continuato ad onorare nel tempo diversi uomini di calcio, in passato, sebbene non più vincenti del giovane formiano, spesso più lautamente pagati, talvolta protagonisti di epoche tutto sommato poco felici della storia del calcio cittadino, che ne ha conosciute diverse anche buie. Certo Pecchia non sembra corrispondere all’idea immarcescibile di scugnizzo e non dà l’impressione del ragazzo diventato adulto con l’arte di arrangiarsi, tuttavia non dovrebbe neppure apparire come un corpo estraneo alla città visto che ha frequentato gli stessi corsi di giurisprudenza in quella Università Federico II che conta decine di migliaia di iscritti e alcune migliaia di matricole nel cuore di Napoli. È quindi curioso che la città non sia solleticata dall’idea di intestarsi questo “prodotto”, di rivendersi un’eccellenza in una piazza che nel calcio, oggi, conta. Tutto sommato, sembra che il Fabio di Formia non sia stato veramente adottato da Napoli.

Siamo sul lettino. Il dottor Freud ha rinunciato a fumare l’ultimo terzo del sigaro vecchio e si appresta a tagliare la testa di un sigaro nuovo. Individua nel discorso due elementi interessanti: la città-madre ed un possibile figlio adottivo. Si schiarisce la voce ed inizia:

«Voi accogliete come una madre – le braccia aperte sono di una madre, il vincolo di sangue è di una madre, le lacrime dei bastimenti sono di una madre. Ma chi sceglie di adottare, chi sceglie di diventare genitore di qualcuno, è il padre, e non ve n’è uno che non sia adottivo. Vinicio, Pesaola, Canè e la lunga schiera degli sportivi che hanno costruito la storia di questa squadra sono, in ultima istanza, il racconto dei “napoletani nati per caso a Buenos Aires”, ossia degli uomini che si sono ricongiunti ad una madre, hanno mischiato il loro sangue con quello di una intera città. D’altra parte era Maradona che cantava un inno alla “seconda mamma mia”, non certo ad un padre. Ciò che manca a Napoli, quindi, in questa enorme sovrabbondanza di madri, e di figli che si ricongiungono ad esse, sono i padri.»

Mi racconta di un suo brillante collega francese, Jacques Lacan, che ha indagato a fondo sulla figura del padre, su cosa sia e a quali compiti assolva. E riprende:

«Non vi tedierò con l’analisi del padre simbolo della legge, di discendenza ebraica, che mostra il limite al figlio e lo aiuta a circoscriversi. Ci ho costruito una carriera sul padre-castrante. Di certo il padre lo è: rompe la fusione simbiotica tra figlio e madre, stabilisce un contatto con lui che non sia solo biologico ma sostanzialmente culturale. In questo il padre sceglie di essere genitore, e può farlo anche durante la vita del proprio figlio. Ed ha proprio nella sua natura transitoria il proprio ruolo – “Del Padre si può farne a meno a condizione di servirsene” scriveva il mio collega francese.

La funzione del padre è quella di unire e tenere assieme legge e desiderio, bilanciandoli e non opponendoli. Dai suoi “no” detti al figlio, dai confini invalicabili che egli oppone alla voglia bulimica di avere tutto, di ottenere tutto e infine bruciare tutto, egli insegna al figlio a desiderare di desiderare. Non c’è desiderio, infatti, se non esiste limite.»

Lunga boccata, il tabacco umido si fa incandescente. Continua:

«Viceversa, i rapporti intercorsi tra voi e gli uomini simbolo della vostra storia calcistica sono tutti materni: aperti all’iniziale accoglienza, ignari delle conseguenze, disposti a dire sempre “sì” purché vengano riconosciute e rispettate le gerarchie che impone il sangue. Sono rapporti senza limite, approntati al desiderio senza legge, che Lacan chiamava una jouissance mortelle, un godimento mortale. Che voi volete, pretendete, invocate, sebbene poi ve ne laviate le mani e vi sentiate innocenti e diversi. Sono tutti rapporti senza padri. Persino quelle che vengono erroneamente equivocate per figure paterne, magari con i tratti del presunto uomo forte, sono in realtà tutte figure materne più o meno mascherate. Una delle grandi madri del vostro passato, ad esempio, è stato Achille Lauro – accondiscendente e comprensivo, fino alla dissoluzione, come solo l’amore materno, incontrastato, sa essere, a volte.

A Napoli esiste passione, ma esiste poco desiderio. E la passione è enormemente sopravvalutata, va su tutto. Una volta bastava che ci fosse la salute, oggi basta che ci sia la passione. Il fuoco si accende e brucia velocemente ma non c’è un viatico, una strada che vi permetta di capire se vi state allontanando o meno di casa, proprio come quei famosi bastimenti – che erano pieni di desideranti, badate bene, non di appassionati. Sono i desideranti che hanno scritto le canzoni e girato i film che vi hanno resi nobili. E se non c’è la lontananza definita dalla legge e dal confine, il desiderio non matura.

Ora. Pecchia. Il signor Pecchia. Pecchia non è napoletano. Ha studiato nell’università della città, ha giocato vestendo i vostri colori, ha allenato in seconda la vostra squadra. Ma ha fatto anche altro. Militato in altre squadre. Ha imparato altre lingue. Ed è volato in altre terre per ambizione. Non è un figlio di sangue, e forse non vuole esserlo. Magari potreste chiederglielo. Per leggerne sui giornali napoletani dovreste adottarlo, ma per farlo dovreste iniziare a pensare come padri, ad essere transitori come loro. Il problema è che il padre svolge il suo lavoro mostrando l’esempio e voi i padri non li sopportate volentieri – non ne apprezzate i “no”, i ridimensionamenti che vi propongono, le posizioni scomode in cui vi conducono, la decostruzione dei vostri alibi che vi insegnano, ed il fatto che possano condurvi a desiderare strade che vi portano lontano dalla madre.»

Siamo sul lettino. Silenzio.

“E Sarri? Secondo lei, professore, Maurizio Sarri è un padre?”

“Potrebbe. Dipende da quanti no riuscirà a dirvi. Direi che qualcuno già inizia a pronunciarlo.”
Raniero Virgilio

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