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Il Napoli di Vinicio mi emozionava, questo di Benitez no

Il Napoli di Vinicio mi emozionava, questo di Benitez no

L’analisi del professore Trombetti, apprezzatissimo docente e già rettore della nostra università Federico II°, appare interessante ed arguta come sempre, dimenticando però, questa volta, una persistente incognita (proprio lui?) sempre presente in ogni incontro di calcio: il desiderio di vincere, la volontà di farcela, la forza di confrontarsi al di là delle proprie oggettive capacità: insomma, la rabbia agonistica.

Ovvero, quella magica pozione non acquistabile sul mercato, che si somministra naturalmente ad ogni componente della squadra, che finisce con il renderlo realmente forte ed in grado di competere con chiunque.

Senza questo imprevedibile fattore, che nasce dalla reciproca stima e dall’essere consapevolmente gli uni legati agli altri, la costruzione delle squadre di calcio sarebbe una stucchevole somma di potenzialità calcistiche, con classifiche e risultati privi di ogni pathos e, probabilmente, inutile e senza interesse per gli sportivi ed i tifosi.

Invece, la realtà è ben diversa – così come è stato dimostrato al Bentegodi – dove una modesta squadra di men che mediocri pedatori in mutande e maglietta gialloblù, eredi e conterranei di Cangrande della Scala, un nome quasi una profezia per la futura città di Verona, hanno sonoramente sconfitto un Napoli arrendevole e timido, privo di cattiveria agonistica e surclassato soprattutto sul campo della volontà di battersi per vincere.

Non sono mai stato Mazzarriano e nemmeno Rafaelita, rimango banalmente legato alle mie bizzarre convinzioni, al mio vetero-sentire illuministico mescolato con passione romantica: contano certamente i risultati sino ad ora raggiunti dal Napoli di Benitez, ma anche i modi con cui tali obiettivi sono stati raccolti.

E, senza tema di smentita, questo Napoli non lo ricorderò piacevolmente come quello magistrale e irraggiungibile di Vinicio, senza campioni, con tanta anime reduci dai purgatori dei campionati di coda della serie A e della serie B, senza stranieri ed altrettanta fedeltà alla tattica legata al modulo a zona in voga in quegli anni.

Quel Napoli, come tutti sanno, perse in casa con la Juventus per 6-2, ci propinò la peggiore delle umiliazioni, ma le tentò tutte per vincere e per confrontarsi alla pari, sebbene qualitativamente e concretamente inferiore ai bianconeri, uscendo tra gli applausi scroscianti di un San Paolo adorante.

Io c’ero e lo ricordo bene. Quello era un Napoli che sicuramente rispecchiava il nostro cuore di tifosi, non certamente questo, così lontano da quanto promesso e sbandierato: “sin prisa pero sin pausa”.
Domenico Crea

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