Guida culturale minima for dummies alla Turchia e a Napoli-Trabzonspor
Gentile napolista che leggi, cosa ne sai tu dei turchi? Questi fumatori sconosciuti. E cosa ne so io, cosa ne sappiamo della loro terra? Non sappiamo niente, io non so niente, così vicina così lontana, questo è un fatto. Per millenni abbiamo confinato e guerreggiato, siamo passati in mezzo a loro per andare all’altro capo […]

Gentile napolista che leggi, cosa ne sai tu dei turchi? Questi fumatori sconosciuti. E cosa ne so io, cosa ne sappiamo della loro terra? Non sappiamo niente, io non so niente, così vicina così lontana, questo è un fatto.
Per millenni abbiamo confinato e guerreggiato, siamo passati in mezzo a loro per andare all’altro capo del mondo, sono stati conquistati e conquistatori. Eppure di tutto questo nella nostra cultura popolare resta poco o niente, se non qualche cliché, riferimenti vagamente esotici in un film o una canzone, e finti hammam nelle palestre vezzose del centro. Ma non è facile. La Turchia è di suo un paese immenso e disomogeneo, un pezzettino di qua in Europa e poi l’intera Penisola Anatolica e oltre, attraversata da una pluralità di differenze da un capo all’altro.
Pausa, proviamo a fare mente locale mentre prendiamo fiato, chiudiamo gli occhi e alziamo lo sguardo. Turchia, Turchia… Di questi tempi il mio primo pensiero va al popolo curdo che abita il sud est del paese. Emarginati, odiati, imprigionati, combattuti e uccisi da sempre. “Minoranza” per modo di dire perché sono milioni, il 20% della popolazione totale, e molti non parlano turco. Poi sì, anche agli Armeni, contro cui si è consumato il primo genocidio moderno, eseguito sotto il comando dei Giovani Turchi esattamente un secolo fa.
Ma non voglio istigare odio, e le generalizzazioni non ci piacciono. Vi ricordo che non so niente, ma se mi concentro meglio mi vengono in mente tante altre cose, come la laicità stabilita nella costituzione repubblicana del ’23 – mi si perdoni la semplificazione – e il diritto di voto concesso alle donne lustri prima che in Italia. E le bellezze archeologiche in ipnotico frullato ellenico-romano-bizantino–ottomano, i dervisci roteanti, la coltivazione storica del tulipano – che non è olandese –, la lana delle capre di Ankara, i porti sui tre mari. Ecco che ricordo anche che vi nasce la coppia di fiumi più famosa al mondo, il Tigri e l’Eufrate, e penso alla vorticosa modernità della popolosa Istanbul contrapposta alle solitudini dell’est, alla parola “Bosforo”, al derby tripartito di Galatasaray, Fenerbahçe e Besiktas, e al simbolico meraviglioso abbraccio dei loro tifosi in piazza Taksim durante l’occupazione di Gezi Park.
Dai è già qualcosa, e ora mi sembra di inquadrarlo meglio questo territorio di mare e terra, enorme e composito, abitato nel corso dei secoli da popolazioni diverse per lingua, cultura e credo, che è stato nella storia protagonista, strada e crinale.
Allora vedi, farò attenzione a non semplificare e domani sera non mi accontenterò di jastemmare un pataturco. Che poi – a dirla tutta – potrei essere in errore anche su questo, perché ho appreso di recente che potrebbe non essere un’imprecazione al padre onnipotente dei turchi, e neppure un’ingiuria rivolta alla figura storica di Mustafa Kemal detto Atatürk, “padre dei turchi” e fondatore della Repubblica. Ho letto da qualche parte che possa essere il risultato di una contrazione della locuzione “patata crucco”, epiteto tra lo giocoso e l’offensivo con cui i soldati italiani designavano i nemici tedeschi durante la Grande Guerra, recepito e portato a casa dai militi napoletani nel loro magro e tristo bagaglio di esperienze.
Ora, Gentile Lettore, io ti chiedo un ultimo sforzo in questo percorso di erudizione minima, perché quanto sto per dirti ci riguarda più da vicino, Trabzonspor. Lo so, foneticamente mal si accorda al napoletano così come all’italiano, e facciamo fatica a pronunciarlo. Ho trovato divertente qualche giorno fa leggere Anna Trieste che invitava tutti a uno sforzo collettivo. Ripetete con me: Trab-zon-spor, Trab-zon-spor. Non è poi difficile.
In Turchia è tra le squadre piùimportanti, fondata nel ’67 ha vinto 7 campionati ufficiali e gliene spetterebbe anche un ottavo da togliere al Fenerbahçe per lo scandalo scommesse del 2011. Un paio di anni fa la società ha ottenuto dal governo turco il permesso e le agevolazioni per costruire una centrale idroelettrica al fine di rispettare il fair play finanziario, una cosa bella orientata alla Responsabiltà Sociale. Ha una tifoseria turbolenta e sempre numerosa, che inscena festeggiamenti ancora più accesi durante il sessantunesimo minuto di ogni partita, a ricordo della conquista della città da parte degli Ottomani nel 1461.
La città che la ospita è Trabzon, e possiede un nome anche in italiano. Trebisonda.
– Aaaaaahhhh, si certo, Trebisonda. Boh.
E dai su. La Trebisonda sul Mar Nero che fu Impero, l’ultima città bizantina a capitolare per mano degli Ottomani, vi si fermò Marco Polo di ritorno dalla Cina, per secoli fu il punto fermo di riferimento per viandanti e navigatori su strade di terra e d’acqua. Si fece per questo sostantivo nella nostra lingua nel famoso modo di dire «perdere la Trebisonda», ovvero l’orientamento, la bussola.
Una delle cose che ho più amato di Benitez è stata la capacità di non perderla mai nei momenti cupi, come quando ha tirato fuori la squadra e l’ambiente dallo psicodramma collettivo in cui eravamo piombati a inizio stagione. Di fatto da solo, essendo l’unica interfaccia pubblica del Napoli quando la società nicchiava e stava alla larga dalle critiche che erano seguite a un mercato modesto e all’eliminazione nei preliminari di Champions.
Per questo e molto altro mi fido se al timone c’è Rafele. Ci porti con sé, faremo ogni gesto apotropaico e soffiaremo nelle vele, nel mentre che lui e la sua ciurma perlustrano l’orizzonte alla ricerca della rotta dal Tirreno all’Europa, passando dal Mar Nero. Facciamo il giro largo.
C_
[Christiano xho Presutti]