
“Se per voi quella con lo Giang Bois è la partita determinante di un’intera stagione, allora significa che io sono sbagliato”. È una delle tante perle regalateci da Rafa Benitez nel corso di queste due stagioni; dichiarazioni che andrebbero raccolte in un libriccino e che tanto hanno fatto e fanno imbestialire la gran parte della stampa napoletana e buona parte di tifosi. Un’affermazione – l’ennesima – che segna un fossato tra un modo di intendere il calcio (e credo anche altro)
Ancora con lo Giang Bois? Sì. Perché al termine del 6-2 al Verona, un sassolino Rafa se lo è tolto dalla scarpa. “Perché stavamo così bene? Perché facciamo il turn over ”. Perché – aggiungiamo noi – il Napoli non vuole nuotare per morire alla spiaggia (altra citazione).
Cominciamo con una confessione. Temevo di non rivedere più il Napoli che mi folgorò nelle prime due partite casalinghe dello scorso anno, contro Bologna e Atalanta e che poi di tanto in tanto è riapparso, soprattutto nei primi venti minuti del secondo tempo contro il Borussia (ma eravamo un uomo in più). Quel giro palla asfissiante che dopo sessanta minuti ridusse sulle gambe i bergamaschi trafitti dal solito Callejon, oggetto misterioso della prima campagna acquisti di Benitez. Ricordo quella sensazione di stupore, come i bambini davanti allo zucchero filato. Quella sensazione di dominio del campo, di essere padroni del proprio destino.
E ieri sera mi si è aperto il cuore al riaffiorare dello stesso stato d’animo. Eppure è sembrata la fotocopia di Napoli-Torino. Avversari in gol alla prima occasione, stavolta dopo nemmeno un minuto (alla faccia di chi sostiene che questa squadra non rimonta mai, per inciso) e inizio incredibilmente in salita. Una mazzata mica da ridere visto tutto quello aveva sollevato la sconfitta di Berna: titoloni sull’eurovergogna, sondaggi che invocavano l’esonero di Benitez a furor di popolo. Lui, Rafa, dopo il gol di Halfredsson invitava alla calma, così come fece Lippi nel 2006 dopo il rigore di Zidane. E il Napoli ha cominciato a macinare gioco. Appoggiandosi molto a Insigne, un Insigne particolarmente ispirato, un Insigne profondamente maturato e molto più in sintonia con i compagni. Ovviamente chissà di chi è il merito di questa metamorfosi ancora in atto.
Il Napoli ha collezionato calci d’angolo su calci d’angolo e lentamente, ma inesorabilmente, ha iniziato scalfire la muraglia del Verona. Un po’ come in uno di quei primi videogame di fine anni Settanta, quando con la pallina bisognava sgretolare il muro. E così il Napoli ci provava: a sinistra, al centro, a destra. Talvolta qualche calciatore ha perso il tempo del passaggio filtrante (oggi dicono imbucata), ma il ritmo è stato incessante, trascinante. E in questa epifania spiccava quel numero 19. Quel lungagnone che si ritrovò suo malgrado ricoperto di insulti su Twitter. Fu vittima di un cinguettio del presidente. Si trovò in mezzo, diremmo noi. Ieri David Lopez si è fatto sentire. Non solo muscoli, anche un piede discreto; non Pirlo, per carità, ma quanto basta per tracciare figure geometriche di base. Probabilmente, al meglio, la mediana di ieri – lui e Jorginho – è la mediana ideale.
Per fortuna, la sorte non si è accanita. Dopo non so quanti calci d’angolo, Hamsik ha segnato (grande tiro) e siamo andati al riposo non sotto di un gol. Nella ripresa, il Napoli è ripartito da dove si era fermato. E i primi 15 minuti sono stati formidabili. Possesso palla, sempre un uomo che tornava, sempre uno che si proponeva, sempre uno che suggeriva il passaggio. Il Verona non c’era più. Fino al 2-1. Qui, a mio avviso, è sparita la squadra più bella della stagione. Te ne accorgi subito, cala l’intensità, è come se non si avvertisse più quel ronzio del motore, come in aereo. Improvvisamente sembra di stare a folle. Cala la concentrazione, si aprono gli spazi, ci si disunisce. È una sensazione quasi fisica. Evidente al di là del gol di Nico Lopez.
Dopo, è cominciata un’altra partita. Il Napoli l’ha vinta 4-0 con un gol ingiustamente annullato. Ma non è stata la prestazione di prima. Mandorlini non ha sbagliato la sostituzione, Mandorlini ha provato a reagire, non aveva altre possibilità. O morire lentamente di soffocamento, o provare a ribaltare il tavolo. È finita come è finita. E bisogna ammettere che la svolta è stata il gol immediato di Higuain, praticamente sospinto dal pubblico del San Paolo.
Non facciamo proclami, abbiamo vinto una partita. Ma sono anche 10 punti nelle ultime quattro giornate di campionato, col pareggio dell’Inter al 92esimo. Non è una squadra da buttare; è una squadra di cui non conosciamo fino in fondo il potenziale. Fin qui abbiamo visto quel che di brutto può mostrare. Non conosciamo, però, il polo opposto. Ieri il pubblico è stato magnifico. Potere del calcio: il futbol bailado ha fatto dimenticare persino la contestazione a De Laurentiis che pure era scattata prima del calcio d’inizio. Sarebbe bello se anche la stampa provasse a evolversi, a non attestarsi su posizioni da stregone contro il turn over. Posizioni che fanno tornare alla mente il Pci degli anni Settanta che votò contro l’introduzione della tv a colori. È impensabile credere che si possano giocare tutte le partite di una stagione ad alta intensità: è l’abc dell’educazione fisica, della preparazione agonistica. Se ci comportiamo come farebbe un tifoso che impreca davanti alla tv, dov’è la differenza? Benitez è altro da noi, lo sappiamo. Per una volta, però, approfittiamo della diversità per conoscerla. Non proviamo a distruggerla solo perché ci spaventa o perché non la comprendiamo. E a rintanarci nelle nostre certezze che, diciamoci la verità, non è che ci hanno portato poi così lontano.
Massimiliano Gallo
p.s. rassegnatevi, Hamsik non ha cambiato posizione in campo. Il Napoli non ha vinto perché Benitez ha ascoltato voi, ma perché ha continuato a non ascoltarvi.