Una domanda: chi fa il mercato del Napoli?

Siamo tornati indietro. Non c’è niente da fare. I segni ci sono tutti. Il mercato di gennaio scorre inesorabile verso la fine e le notizie-bluff si rincorrono, le cortine fumogene si allargano, i quasi affari sfumano sul traguardo, l’informazione – dei giornali mainstream e dei siti specializzati – ha precisione e lucidità di una crisi […]

Siamo tornati indietro. Non c’è niente da fare. I segni ci sono tutti. Il mercato di gennaio scorre inesorabile verso la fine e le notizie-bluff si rincorrono, le cortine fumogene si allargano, i quasi affari sfumano sul traguardo, l’informazione – dei giornali mainstream e dei siti specializzati – ha precisione e lucidità di una crisi di panico.

Il Napoli su Ciccio, il Napoli su Caio, il Napoli su Putipù, campione cambogiano, 15 milioni, si rincorrono. Non solo non ci si capisce niente in mezzo a voci riferite al condizionale e dipendenti da tre periodi ipotetici, il grande Giuseppe Pacileo la raccontava così : “Avenn’, putenn’, pavann'”. Questo potrebbe ancora essere il risultato di qualche manovra di mercato, di una esigenza di occultamento delle proprie mosse. Ma sono le sensazioni ad esser pessime, ehh le sensazioni sì, perché chi nell’informazione ci ha lavorato con le sensazioni si orienta.

La sensazione numero 1 è che si sia tornati indietro di qualche mese, a prima di Rafa, a quando la testa tecnica del Napoli cozzava contro quella dell’allenatore. La scorsa estate sembrava tutto nuovo, ci sono state le idee chiare di chi puntava su gente magari matura e con qualche anno sulle spalle ma di certo rendimento, l’esperienza di chi ti faceva spendere sulla base della conoscenza e delle relazioni. Ora, boh! Anzi niente boh: il momento in cui la contraddizione appare nella sua massima chiarezza è sul dopo vicenda Antonelli. La domanda allora era – ed è oggi – il mercato del Napoli “chi” lo fa? C’è una “testa” tecnica oltre Benitez? Qual è? O la contraddizione sta tra proprietà e allenatore?

E un’altra domanda: ma perché Rafa è così inferocito? No, i risultati non c’entrano, sorrideva anche dopo il 3-0 di Torino. Rafa è imbufalito e si vede. Ci siamo forse pentiti di aver preso il grande regista e vogliamo tornare al modo di produzione delle pezze a colori (per i non napoletani: del bric à brac gestionale)?

Sensazione numero 2. Qui da noi la logica ha da tempo lasciato il mare di Napoli, sembrava tornata in estate, e adesso se n’è andata, perché in estate c’era: si costruiva una squadra per un progetto a lungo termine. E ora? Non si prosegue? Dovevamo prendere un difensore, magari due, ma trattiamo “decine” di centrocampisti, avendone già preso uno pregevolissimo il cui acquisto ha chiaramente irritato i concorrenti. Perfetto: e il difensore?

Sensazione numero 3. E’ quella di una mancanza di relazioni o della presenza di relazioni scarse, di una navigazione a vista. Come se i nostri osservatori all’estero non ci fossero. Come se non avessimo più giovani da guardare in patria. Come se ci affidassimo a qualche benzinaio della periferia di Baires per tirar fuori nomi improbabili per un campionato fatto di professionisti. Scusate eh, ma tutte queste mi sembrano strategie contraddittorie. Abbiamo lo stilista fuori classe e facciamo spese all’OVS?

Ho finito. Era un lamento, un pensiero doloroso, uno sfogo tifoso. Ma ancora una cosa. Ho letto da qualche parte che c’è chi rimpiange Marino. Se di rimpianti si dovesse vivere, proporrei di rimpiangere Luciano Moggi. Ma forse è il caso di guardare al futuro. In genere chi pensa alla prospettiva non ha solo un bravo allenatore: ha personale tecnico, cultura e relazioni nel mondo del pallone. Caro De Laurentis, bravi avvocati dal contratto chilometrico oltre a un ferreo “controllo di gestione” vanno benissimo e aiuterebbero qualora lei volesse vendere la società. Ma nel calcio non bastano. Ad allenatori di razza gestori di razza.
Vittorio Zambardino

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