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Il tifoso e’ reazionario e il suo integralismo e’ irragionevole

Il tifoso non è semplicemente conservatore: è tradizionalista e reazionario. Perché il tifoso è un uomo di fede, e in quanto tale non deroga su nulla, neanche sugli aspetti marginali del suo credo. E non c’è differenza tra l’ultras e lo spettatore, diciamo così, demilitarizzato: nell’ostilità alla divisa mimetica, all’inno e alle cheerleader, condividono la stessa posizione. Adesso la cosa più importante non è se Aurelio De Laurentiis lo abbia capito o no, se il patron si scontri inconsapevolmente col muro del tifo consolidato, o se lo superi consapevolmente per ammiccare ai possibili nuovi tifosi, magari esteri. La cosa più interessante è puntare i riflettori dal campo alle tribune per vedere noi che reazione abbiamo.
Chi vive il San Paolo e le sue propaggini virtuali è abituato a vedere nel pubblico due grandi categorie (con tutte le sfumature del caso): i tifosi, cioè i malati, quelli che consacrano la propria vita al Napoli nella cornice dell’integrazione sociale e dell’onorabilità borghese; e poi gli ultras, quelli che consacrano pure loro pari pari la vita al Napoli, ma in un clima da formazione paramilitare jugoslava.
Ecco, il più grande punto di contatto di queste due categorie è la guardia alla fede e alla liturgia. Tifosi e ultras sono come gli Ayatollah e i Pasdaran iraniani: chi da più in alto e chi da più in basso, difendono la stessa rivoluzione.
Dipendesse dal tifoso, con ogni probabilità, il calcio sarebbe ancora lo sport appena distintosi dal rugby che si praticava in Europa a cavallo del ‘900. La retorica degli ultras sul “solo la maglia” (o contro la finale di Pechino, per fare un altro esempio) è tenera quanto antistorica, come i discorsi del tipo “ai tempi di Maradona” o “quando si giocava al Collana. Come ogni conservatorismo, anche quello calcistico è una postura figlia dei tempi: tra vent’anni si difenderà dall’innovazione qualcosa che oggi è osteggiato perché nuovo. Della serie: no all’anticipo alle 12, ma che eccitazione per la coreografia del big match serale.
Qualcuno potrà dire: “E’ questione di attitudine, se non fossimo così, non saremmo neanche tifosi, ma appassionati”. Certo, ma rimane la tara del farsi il sangue amaro su questioni marginali: come scrive Enrico Sbandi, il Calcio Napoli procede per tentativi, magari alcune nostre discussioni avranno già superato in longevità l’oggetto stesso della discussione, mentre quello che conta è il pallone a centrocampo nelle gare ufficiali.
Torniamo a noi. La questione, come si diceva all’inizio, è la fede. Ecco, allora non dimenticate la lezione del professor Bellavista: “la fede incrollabile è pericolosa”, rende violenti, o quantomeno irragionevoli.
Roberto Procaccini

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