E se a Natale fossimo settimi in classifica?

E se a Natale fossimo, diciamo, settimi in classifica? Tra i miei sogni, c’è anche quello di una Napoli città paziente. Sento l’uragano delle vostre repliche: se non fossimo pazienti, come faremmo a vivere qui? E in parte avete ragione. Almeno voi che in questa città avete scelto di restare, lavorare, vivere e fare i […]

E se a Natale fossimo, diciamo, settimi in classifica?

Tra i miei sogni, c’è anche quello di una Napoli città paziente. Sento l’uragano delle vostre repliche: se non fossimo pazienti, come faremmo a vivere qui? E in parte avete ragione. Almeno voi che in questa città avete scelto di restare, lavorare, vivere e fare i conti con ciò che è. Ma quella – se permettete – è una pazienza imposta o perlomeno accettata a un tavolo delle trattative dove si era nella parte del più debole. Se rifiuti, poi te ne vai. Io vorrei invece una pazienza frutto di libera scelta. Frutto di capacità di aspettare. Per esempio capacità di aspettare Rafa Benitez.

Diciamocelo e tenendo vivo tutto l’affetto per l’uomo. La vicenda Cavani ci ha estenuato. Su Repubblica di lunedì 1, Antonio Corbo ha disegnato il nuovo Napoli, dove l’unica vera casella senza un nome credibile è quella della prima punta.

Ma, anche a prescindere da chi a me personalmente ha appena dato la gioia di rifilare tre gol al portiere della Juventus (perché il rigore lo contiamo, sì?), il cantiere è tutto aperto. La fine del ciclo Mazzarri ci costringe alla scommessa su troppi uomini nuovi. Riusciranno a ingranare proprio tutti fin dalla prima partita? E i vecchi troveranno un’intesa con i nuovi e con l’allenatore visto che potrebbero sentirsi minacciati – un nome su tutti, De Sanctis? Se per un attimo pensate al meraviglioso mondo della probabilità, dovrete convenire che è più probabile che a dicembre noi si sia scontenti.

Mi ripeto: e se a Natale fossimo, diciamo, settimi?

Se lo fossimo, sarebbe un casino. E qui viene il bello. Qui dovrebbe entrare in gioco la nostra pazienza. E la fiducia in Rafele. Lui sa come costruire le squadre. Lui in testa il disegno ce l’ha chiaro. Lui sa come si vince, una cosa che noi abbiamo dimenticato da sempre. E ha bisogno di tempo. Ha bisogno di T.E.M.P.O. Ha bisogno di lavorare, di provare, di scartare questo e ripescare quell’altro. E’ un lavoro che non fai in laboratorio. Lo fai quando si sbaglia, quando si perde e si delude. Non c’è nessuna nuova strategia che non passi per momenti neri e difficoltà. E noi siamo una squadra nuova con un nuovo disegno strategico.

Ho sempre detestato la retorica del “pubblico dodicesimo giocatore”. Diciamo però che quest’anno ci siamo molto vicini. Tocca anche a noi, Ognuno dovrebbe cominciare dalle proprie paturnie, dalla propria fragilità di tifoso. Dovremmo ingoiare i fischi e tenere a freno la penna. Io già ci vedo, dopo un 2-0 a san Siro con l’Inter, 2-0 a favore di Walterino, o magari “un 3-1 a Verona” per fare una citazione, già ci sento dire: “Però forse questo non capisce il calcio italiano, in fin dei conti aveva già sbagliato, e quell’altro per avidità si è venduto Cavani e guarda come stiamo inguaiati (lo diranno di certo tutti quelli che oggi dicono che Cavani è antipatico, freddo e fanculo a lui n.d.r), e forse abbiamo sbagliato a tenerci Cavani che ormai si è bloccato, e guarda Rafa come gestisce i vecchi, guarda quanti gol prende, guarda quanto segniamo meno dell’anno scorso, e guarda come fa giocare i ragazzini immaturi, ah Mazzarri sì che sapeva tenere gli equilibri”.

Insomma lo sappiamo che brutta razza siamo noi tifosi. Ma io lo so che questa volta saremo bravissimi. Che sopporteremo i momenti neri e andremo avanti. Ve lo devo proprio ricordare che Diego, che sapeva come si vince, una cosa che noi abbiamo dimenticato da sempre, al primo anno chiuse con un piazzamento-Roma style? E poi? Cosa successe l’anno dopo? E due anni dopo?

Diamo a Rafa la chance di arrivare al 10 maggio 2016.
Vittorio Zambardino

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