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Il Napoli e i biglietti omaggio, da Lauro a Valenzi

Raccontano che all’inizio fu un equivoco. Achille Lauro prese il Napoli senza saperlo. Ascarelli, il presidente anni Trenta, un giorno lo avvicina e gli fa: “Vado a combattere in Africa, devo affidarti la mia creatura”. Lauro torna a casa e dice a sua moglie di preparare una culla, quello lo guarda e gli risponde: “La creatura di Ascarelli? Ma quello non è neppure sposato”. La creatura era la squadra. Lauro ne è presidente fra il ’36 e il ’40, poi di nuovo nel ’52.
E’ questo l’anno chiave in cui si mischiano la città e la squadra. Anno di elezioni comunali. Il 25 maggio il partito monarchico di Lauro diventa il primo a Napoli con il 29% dei voti. Lo storico slogan sarà: “Per un grande Napoli, per una grande Napoli”. Il 9 luglio diventa sindaco, il 22 tiene una conferenza stampa e parla di Jeppson.

Ecco. Tutto comincia lì. Sessant’anni dopo, è storia di pochi giorni fa, le parole del sindaco attuale Luigi De Magistris, presenza costante in tribuna accanto a De Laurentiis, sono queste: “Grillo premier? E’ più facile che il Napoli vinca lo scudetto”. L’impasto sopravvive.

In mezzo, in questi sessant’anni di sindaci del Napoli, c’è un po’ di tutto. E’ l’estate del 1984 quando il dc Enzo Scotti accompagna Ferlaino in giro per le banche a raccogliere fidejussioni: c’è Maradona da strappare al Barcellona, il sindaco si intesta la paternità politica della battaglia.

Alle amministrative del 1987, che si tengono il 14 giugno, ci sono candidati e partiti che si presentano a cavalluccio dello scudetto di Maradona. Il socialista Cigliano tira fuori una foto scattata due anni prima, lui e Diego vicini a una partita di calcio di beneficenza. La usa. Fa propaganda con quella. Il Msi invece mette a Santa Brigida dei manifesti di saluto alla squadra campione “che ha riscattato Napoli dalla posizione subalterna rispetto al Nord”. Il dc Tesorone fa stampare a sua volta altri manifesti: “Vota Diego”. Dove Diego è sicuramente lui. Ma è pure Lui. Diventerà sindaco Pietro Lezzi, socialista, che introduce l’abitudine scaramantica di presentarsi a ogni vigilia importante al campo d’allenamento, al San Paolo oppure a Soccavo, a tirare i calci di rigore. Lui sul dischetto, Ferlaino in porta.

Il primo sindaco a elezione diretta, Antonio Bassolino, i rigori non li va a tirare. S’accosta al malmesso Napoli della sua epoca quando è in carica da un paio di mesi. Ferlaino deve trovare i miliardi per salvare il club dal fallimento, chiede aiuto alla città. Una mattina Bassolino arriva a Soccavo per fare un punto e mette dei paletti. “Una mano la daremo. Ma Ferlaino paghi e se ne vada”. Poi col tempo i due proveranno a convivere. Di Rosa Russo Iervolino si ricorda quasi solo una fiammeggiante affermazione in tribuna autorità la notte della prima edizione napoletana del trofeo Birra Moretti: “E’ un grande onore per la città ed è motivo d’orgoglio ospitare questa importante manifestazione”. Come fosse un assessore allo sport di Solbiate Arno, ed era lo stadio di Germania-Olanda ’80 e Italia-Argentina ’90. Una frase di circostanza, sicuro, ma la sbagliò.

L’unico sindaco veramente in contrapposizione a tutto questo fu Maurizio Valenzi, primo sindaco comunista della città, dal 1975 al 1983. Quando arriva lui a Palazzo San Giacomo, i dirigenti comunali musichéano. Perché tra le prime cose che fa Valenzi, taglia i biglietti gratis. Nel senso che dice a Ferlaino di smettere di mandarne, lui che da sindaco è l’amministratore di un bene pubblico (lo stadio). Non ne vuole più perché prima esige altro. Il pagamento del canone d’affitto. A cui il Napoli si sottrae invece da tempo.

Forse non era neppure contrapposizione, ma estraneità. Nel senso di diversità dei ruoli. Io faccio il sindaco, tu fai il Napoli. Nel 1982 si scontrano. Napoli è un casino, il Napoli di più. Gli operai dell’Italsider sfilano al San Paolo prima di Napoli-Roma per protestare contro il rischio che la fabbrica chiuda. Un aereo vola sullo stadio con uno striscione: “Ferlaino via, Juliano torna”. Valenzi fa sentire la sua voce. Propone “un’assemblea cittadina con la partecipazione delle forze sociali per salvare il Napoli”. Ferlaino fa l’offeso. Il 5 gennaio ’83 va a Cesena e spiega ai giocatori che lui lascia. Basta. Se è così, si dimette. Dice che tutto il calcio dovrebbe sentirsi offeso per le parole del sindaco. Valenzi gli risponde: “Ferlaino chiama in causa il sottoscritto non sapendo a quale santo votarsi”.

Poi, dopo Valenzi, i biglietti omaggio sono tornati. E’ successo pure di più. Cinque anni fa alcuni consiglieri comunali firmano un documento per chiedere posti migliori in tribuna autorità, perché si dicono costretti a occuparne di «di valenza secondaria», e i controllori ai varchi chiedono pure il documento prima di farli passare. Esigono di poter entrare solo esibendo il tesserino, e di non essere più «continuamente compulsati». Una sconfitta per il buon senso. Ma soprattutto per l’italiano.
Il Ciuccio

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