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Se Calaiò fosse nato in Portogallo

Se Calaiò fosse portoghese, sarebbe da anni titolare inamovibile della sua nazionale, bomber di spessore europeo e protagonista, di biennio in biennio, di mondiali e europei almeno dal 2006 a oggi.

Insomma, la compagine lusitana ha perso la semifinale dopo aver giocato un’ottima partita, dopo aver messo in difficoltà per lunghi tratti i più blasonati spagnoli. Come sempre, questo Portogallo è stato una squadra piacevole, condita di tanti ottimi giocatori e di qualche campione assoluto. Come sempre, il Portogallo è venuto meno sul più bello, confermando quel luogo comune secondo il quale (insieme all’Inghilterra e, un tempo, proprio con i cugini iberici) è un paese destinato a non vincere mai.

Ma, soprattutto, anche quest’anno il Portogallo ha confermato una sua storica debolezza: non ha una prima punta, gli manca il finalizzatore.

In semifinale di Euro 2012 si è fatto notare Hugo Almeida, possente attaccante in forza al Besiktas. Il puntero ha guadagnato il posto da titolare perché ai Quarti si era infortunato Hèlder Postiga, mentre a chiudere il parco attaccanti ci sono Varela e il giovanissimo Nèlson Oliveira.

Contando su queste bocche di fuoco, qual è il bottino di reti del Portogallo? Sei goal in cinque partite, dei quali tre del formidabile Cristiano Ronaldo e altri tre segnati in un solo match (la vittoria di misura sulla Danimarca).

Embè, direte voi, neanche l’Italia segna tanto. E’ vero: la nazionale azzurra (aspettando un Balotelli maturo e la crescita dei vari Borini e Destro) soffre di sterilità. Ma la soffre oggi, in una certa congiuntura generazionale, vantando però una tradizione di bomber che parte da Piola e arriva a Bobo Vieri.

Quello portoghese è invece un problema congenito. Fa pensare a cose un po’ naziste, come che nel calcio ci sia una predisposizione genetica dei popoli: così come gli uruguaiani (poco più di tre milioni in tutto, meno dei campani) hanno il dna favorevole al fùtbol, i lusitani hanno il cromosoma “io la porta non la vedo”, con l’aggravante di essere un movimento calcistico che può pescare nel giro delle ex colonie.

D’altronde al Portogallo non sono mai mancati giocatori di estro e di talento, manovratori dal guizzo fantastico e dall’assist facile. Oggi c’è il impomatatissimo CR7 del Real Madrid, ma ieri c’erano i Deco, i Luis Figo e i Rui Costa (rimanendo agli ultimi quindici anni). Gente che col pallone si dava del tu.

Eppure, chi si trovavano come compagni di reparto queste stelle? Prime punte assolutamente normali, non solo poco significative, ma per di più tenute innaturalmente a lungo nel novero dei convocati per mancanza di alternative. Tant’è che Nuno Gomes risulta tra i dieci giocatori con il maggior numero di presenze nella storia della sua nazionale, mentre Pauleta è quello che ha segnato in assoluto il maggior numero di reti.

Dal momento che non si vedono all’orizzonte degni eredi di Eusebio, continuo a chiedermi cosa sarebbe stato se l’arciere Calaiò fosse nato a Coimbra (o se si fosse per lo meno sposato con una portoghese). In primis un vantaggio per lo stesso eroe della duplice promozione del Napoli: per mancanza di concorrenza, sarebbe arrivato molto più velocemente nel calcio che conta. E poi sono certo che Emanuele con la mogliettina rosso-verde farebbe molto meglio dei vari Almeida e Postiga, perché lui non saprà fare la rabona, ma la butta dentro.

E magari, con Calaiò, il Portogallo avrebbe pure vinto qualcosa.
Roberto Procaccini

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