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Per un attimo ho creduto di avere il biglietto per andare a vedere il mio Napoli contro il “mio” Chelsea

Cari Napolisti vi scrivo, e siccome siamo troppo schifati, più forte vi scriverò. Raccontandovi una storia, la storia qualunque di un tifoso qualunque del Napoli. Una storia che, però, merita forse di essere raccontata, e per il semplice fatto che si tratta, a guardar bene, di una storia uguale ad altre migliaia di storie.
Cari Napolisti, ho appena letto gli articoli di Max Gallo e di Ilaria Puglia a proposito dell’incredibile (“e mai creduta”, per citare indegnamente Eugenio Montale; ma, ahimè, fin troppo vera) storia dei biglietti di Chelsea-Napoli. Cari Napolisti, io non sono un ironico giornalista emigrante, né un mastino della cronaca; io non faccio il mestiere di Max e di Ilaria, quindi non scrivo pezzi giornalistici. La mia vita è votata allo studio della letteratura italiana, quindi l’unica cosa che posso tentare di fare è raccontare. Ed eccovi, dunque, la mia storia.
C’era una volta, nella lontana estate del 2003, un giovane napoletano, al quale il papà aveva trasmesso la malattia del pallone e della maglia azzurra; un giovane tifoso che aveva l’abbonamento al Napoli dal 1994, e che da allora aveva visto tutte le partite della sua squadra del cuore con gli organizzatori del Te Diegum: una bella educazione sentimentale, non si poteva certo lamentare. Quel giovanotto, quell’estate del 2003, era in vacanza a Londra, e aveva ovviamente deciso di visitare almeno un paio degli storici e mitici stadi della capitale inglese. Qualche giorno prima aveva visto Highbury, che di lì a poco sarebbe stato abbattuto; e quando, un in bellissimo e caldissimo pomeriggio di agosto, si ritrovò a passeggiare per le dorate vie di Chelsea, non poté fare a meno di dare un’occhiata allo stadio dei Blues. Erano le quattro e mezza: le visite guidate erano finite già da un bel pezzo, quindi non gli restava che fare il giro dello stadio, e scattare qualche foto.
A un certo punto, mentre si faceva immortalare davanti alla tribuna-albergo, chiese ad alta voce alla persona che era con lui, in dialetto, se si sarebbe capito che quello era uno stadio. Un signore di mezza età, che, accompagnato dalla moglie, trascinava a fatica nell’afa londinese un pesantissimo trolley, gridò di lontano: “Guagliò, e cert’ ca nun se capisc’!”. Divertito, continuò la sua circumnavigazione, quand’ecco sul fianco dello stadio una porticina aperta, uno stretto corridoietto, e… Il prato! Incredulo, si fermò ad ammirare la bandierina del calcio d’angolo, e l’equivalente della nostra Curva A; ma, ancora più incredulo, vide affacciarsi dalla porticina magica la signora napoletana, che gli urlò: “Guagliò, guagliò, tras’ appriess’ a nuje!”. Chissà in che lingua, lei e il marito avevano convinto il giardiniere che lavorava a quel prato impeccabile (la Premiership sarebbe iniziata di lì a qualche giorno) a farli entrare, anche se solo per qualche minuto, dentro il campo; la foto che lo ritrae accanto alla bandierina del corner di Stamford Bridge è una delle cose più care che tuttora conserva.
L’amore per il Chelsea fu, da quel giorno, una cosa del tutto naturale per me; d’altra parte, la gloriosa maglia dei Blues l’aveva indossata il mai dimenticato Zola, e quell’anno erano stati acquistati, dal neo-patron Abramovich, Veron e Mutu, due giocatori che all’epoca mi garbavano assai.
Il Chelsea divenne la squadra estera che seguivo con vera partecipazione (tutti, in fondo, ne hanno una): negli anni a seguire mi sarei esaltato per le gesta inglesi dello Special One, e disperato per lo scivolone moscovita di Terry contro lo United di Ronaldo.
Potete immaginare, cari Napolisti, la mia gioia infantile – anche se nel frattempo ho superato il quarto di secolo – quando, assistendo in diretta e con inaudita trepidazione al sorteggio degli ottavi di Champions, scoprii che il “mio” Napoli avrebbe affrontato proprio il “mio” Chelsea? Capirete, cari Napolisti, che iniziai a vagheggiare l’idea di andare a Londra a vedere il ritorno: quello divenne, per mesi, il mio sogno ad occhi aperti; come potevo vedere quella partita, in quello stadio, soltanto in tv, a migliaia di chilometri di distanza da Stamford Bridge? Ma come fare, cari Napolisti, ad acquistare materialmente il mio sogno, ovvero quel pezzo di carta che mi avrebbe consentito l’accesso al settore ospiti? Affidarmi a qualche agenzia, che da mesi prometteva con certezza – ma con quali garanzie? – il biglietto insieme ad un costosissimo pacchetto-viaggio, col rischio di finire come i tanti che andarono a Liverpool solo per scoprire di essere stati truffati? Fare la fila ai botteghini del San Paolo, col rischio di finire nella bolgia infernale e nei tafferugli che si aspettava si verificassero, e che puntualmente si sono verificati? Non restava che internet. Non vi starò a raccontare nel dettaglio, cari Napolisti, lo psicodramma che io e migliaia di altri tifosi del Napoli abbiamo vissuto oggi davanti ai nostri pc: lo hanno già fatto altri, e leggerete tante altre testimonianze nei prossimi giorni. Vi dico solo che, verso ora di pranzo, sono incredibilmente riuscito ad accedere all’area riservata di listicket.it, il sito di Lottomatica a cui il Napoli si affida; il cuore mi batteva forte quando, dopo che avevo inserito i miei dati anagrafici, mi era stato assegnato il posto 25 della fila 9 del settore ospiti superiore, prezzo 65€; il dito mi tremava quando ho cliccato su “acquista”; ma, a quel punto, il sito si è bloccato, e sono stato rimandato alla homepage. Solo alle otto di stasera sono riuscito di nuovo ad accedere all’area riservata, dopo aver letto lo scarno comunicato di listicket – un solo rigo; un solo rigo, ci siamo meritati oggi – che annunciava che i biglietti erano esauriti; e solo per scoprire che non avevo effettuato nessun acquisto. Tutto inutile. Bene così. Avrete capito, cari Napolisti, per quale ragione io abbia pensato che la mia storia meritasse di essere letta. Non sta a me scrivere un reportage giornalistico o un editoriale, né sta me scrivere analisi su questa città, o criticare la SSC Napoli e i suoi dirigenti, o azzardarmi a scrivere cose che non sono in grado di scrivere, e che ho dunque il piacere di limitarmi a leggere, scritte da altri ben migliori di me. Non sta a me avanzare ipotesi o ricostruire tutto quel che è successo, senza avere prove, ma solo sospetti e idee chiarissime. Io mi limito soltanto a dire che a pensar male si fa peccato, ma… Il resto della citazione lo conoscete da voi. Ho soltanto provato a raccontare una storia: la storia, oggi vissuta purtroppo da tante, troppe persone perbene che hanno avuto l’ingenuità di credere in un sogno, quello di poter seguire il Napoli a Londra acquistando un biglietto secondo le leggi dello Stato Italiano; la storia, dicevo, di una passione sbertucciata, presa in giro, frustrata. La storia di una passione umiliata. Vi ringrazio per aver letto queste troppe righe, miei cari Napolisti; consentitemi soltanto, prima di concludere, di omaggiare con sentita deferenza la SSC Napoli e Lottomatica. Forza Napoli, sempre, dovunque e comunque.
Andrea Manzi
Post scriptum: se la persona che, il 14 marzo, siederà al posto 25 della fila 9 del settore ospiti superiore di Stamford Bridge, per ventura, dovesse leggere questo scritto, lo pregherei vivamente di contattarmi: mi piacerebbe molto offrirgli un caffè, ma soprattutto affidarmi a lui per ogni mio futuro acquisto telematico.

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