ilNapolista

Cari napoletani (e non solo), vi spiego il modello inglese

Riferiscono di critiche e lamentele italiane, anche dei media, per la presunta inciviltà vista e subita a Stamford Bridge per Chelsea-Napoli. Non c’eravamo, l’abbiamo vista dal divano di casa, ma abbiamo sufficiente esperienza di Stamford Bridge e dei metodi per poter chiarire, senza scendere nello specifico di ciò che, appunto, abbiamo visto, e giusto giusto tre giorni fa siamo andati a Spurs-Stoke City per darci un’altra rinfrescata.

Primo punto. Ci siamo sempre rotolati dalle risate ad ogni invocazione in Italia del cosiddetto modello inglese, perché tale è definito solo in Italia, non certo lassù. È un insieme di norme, comprese agevolazioni ed elargizioni economiche governative: messe assieme, hanno creato una sorta di pace sociale e di progresso che hanno ripulito gli stadi dalla teppaglia che si era sparsa per almeno un ventennio e che però – questo non va MAI dimenticato, e Mister Football lo rivendica orgogliosamente avendolo sperimentato di persona – non aveva offuscato la naturale tendenza del tifoso inglese alla bonomia e allo scherno, più che alla violenza. Stadi nuovi o rifatti, posti tutti a sedere, il cruciale e obbligatorio servizio di telecamere a circuito chiuso con leggi (flagranza differita, ad esempio) che progressivamente hanno reso difficile e pericolosa l’attività teppistica nel recinto degli stadi che, lo ricordiamo, sono per la grandissima maggioranza di proprietà privata, ovvero dei club. E che è dunque sempre stato loro interesse tenere puliti da gentaglia, anche perché nel Regno Unito la forza pubblica in uno spazio privato va pagata, non viene sfruttata gratis come da noi da società che quindi possono in teoria anche fregarsene di tenere sotto controllo la folla. Un controllo che viene applicato anche da entità commerciali contigue: abbiamo letto di tifosi cui è stato rifiutato l’ingresso in locali pubblici, ma è noto – non però a chi vive pensando di applicare agli altri le proprie regole – che nel giorno della partita ci sono pub che portano evidenti le scritte “home fans only” (ingresso consentito solo ai tifosi di casa) oppure “no football colours” (vietato l’ingresso se si hanno indosso capi di abbigliamento che indichino la propria preferenza calcistica). In entrambi i casi i gestori vogliono chiaramente evitare grane, evitare che vengano a contatto i tifosi dei due club e si ripetano scene che si spera appartengano ormai ad un passato lontano. Certo, chi non ha idea di cosa vogliano dire quei cartelli e si vede respingere da un buttafuori protesta, ma ha torto marcio, e non escludiamo che sia andata così quel mercoledì a Stamford Bridge e dintorni.

Secondo punto. Si sono sentite lamentele per una certa agitazione del pubblico della tribuna bassa, dalla medesima parte delle telecamere nelle riprese tv, verso gli inviati. Pur ribadendo che non eravamo lì, abbiamo due punti fermi. Il primo, è che il club italiano medio viene seguito in Europa da un cospicuo numero di inviati tra cui però, specialmente nei casi di squadre non avvezze a tali trasferte, ci sono sempre infiltrati che con il mestiere del giornalista poco hanno a che fare. Anni  fa un cronista nostro conoscente andò ad Arsenal-Roma ad Highbury e ci disse testuale che “in tribuna stampa c’erano tantissimi tifosi che si erano fatti accreditare come inviati di testate locali”, magari – solo ipotesi – con il consenso del club come accade nelle competizioni europee, dove le squadre di casa, non conoscendo importanza e classificazione professionale di chi chiede l’accredito, spesso consultano quelle ospiti sui nomi da autorizzare al pass, e crediamo che sia poco sorprendente sapere che ci possono essere stati aumma-aumma. In Inghilterra e in genere nel mondo anglosassone la regola del “no cheering in the press box”, ovvero niente tifo in tribuna stampa, viene osservata al cento per cento, con pochissime eccezioni. E allora è facile che se tra gli inviati non propriamente regolari (e ahimé anche tra quelli regolari: al gol di Fabio Grosso contro la Germania ai Mondiali 2006 un alto numero di inviati ancora un po’ era in piedi sulla sedia) qualcuno si sia lasciato andare ad esultanza al gol di Gokhan Inler i tifosi nei pressi non abbiano gradito. Tifosi, va detto per esperienza personale, non sempre tranquilli, e tra l’altro appartenenti alla vigliacchissima razza, molto diffusa anche da noi specialmente nei settori più costosi, di quelli che fanno gestacci alla curva avversaria ben sapendo che tra sé e i rivali ci sono almeno 20 metri di distanza.

Terzo punto. Non c’è nemmeno bisogno di essere finti-cronisti per rischiare grosso se si esulta. Il regolamento della maggioranza dei club inglesi dice che ai tifosi ospiti è proibito acquistare biglietti per settori a loro non riservati. Vietato, punto e basta. Chi viola la norma, chi venga sorpreso ad esultare, rischia la cacciata immediata dallo stadio. Abbiamo visto con i nostri occhi questa scena ad Highbury nel gennaio del 2006: Arsenal-West Ham, se non andiamo errati 1-3, al primo gol degli Hammers un signore, tra l’altro molto ben vestito, accenna ad un’esultanza, solo che è seduto nel settore basso della North Bank, la “curva” dell’Arsenal, e presto altri occupanti di seggiolini vicini cominciano a protestare fino a che il signore stesso, con molta tranquillità, non viene fatto alzare e accompagnato fuori dagli steward. Dunque il sottile elogio dei tanti tifosi del Napoli venuti in possesso di biglietti per altri settori e “travestitisi” da supporters del Chelsea, udito in tv, altro non è che l’ennesima dimostrazione che la mentalità italiana strizza l’occhio a chi viola le regole, se è “simpatico”.

Quarto punto. Non è permesso in Inghilterra comprare biglietti da fonti non autorizzate. E le uniche autorizzate sono i club. Nel 1995 entrò in vigore una norma che rendeva illegale la compravendita di biglietti per manifestazioni sportive anche se la transazione avviene ad un prezzo inferiore a quello ufficiale. In teoria dunque un passaggio di un tagliando tra due fratelli, anche al 50% del costo del biglietto, sarebbe illegale, il che porta alla medesima domanda di quando si seppe di quella vecchia norma che nello stato americano della Georgia vietava un certo tipo di rapporto sessuale tra coniugi, ovvero “ma chi va a controllare?”. Tra due fratelli seduti a tavola è un po’ difficile, ma in ambito pubblico i controlli ci sono: e non per nulla da alcuni anni i club più evoluti hanno istituito un servizio interno di rivendita biglietti da parte di tifosi che non siano in grado di andare allo stadio e vogliano cedere il loro biglietto ad altri. Una sorta di bagarinaggio autorizzato, per mantenere il giro di tagliandi in un ambito civile. Pratica favorita dall’istituzione, ormai da tanti anni, dell’ingresso mediante tesserina ricaricabile: in pratica una sorta di carta di credito che contiene i dati di chi la possiede ma soprattutto il “biglietto” virtuale alle partite acquistate. Chi è “member” del Tottenham, ad esempio, riceve una tesserina e può farvi caricare sopra l’ingresso alle partite che acquista (tutte, in caso di abbonamento, che sostituisce l’antico metodo del librettino con singoli tagliandi da staccare): facile capire che in questo modo, assente un biglietto cartaceo, non sia nemmeno possibile la pratica del bagarinaggio, perché l’eventuale bagarino dovrebbe farsi poi ridare dall’acquirente la tesserina per poterla poi usare in altre occasioni. Ovvio che per ogni gara ci siano comunque tantissimi biglietti cartacei in vendita (sui quali compaiono i nomi degli acquirenti, ma non viene mai controllato se l’identità di chi entra coincide con il nome sul biglietto), ma bisogna fare attenzione e le regole vietano ESPLICITAMENTE l’acquisto di essi al di fuori del circuito autorizzato. Il tifoso-turista che si rechi con fare cospiratorio in quei chioschi nel centro di Londra che vendono biglietti per il teatro ma portano pure una sibillina scritta “football information” rischia molto. Perché il gestore potrà anche allungarti sottobanco il biglietto per QPR-Liverpool cedutogli al nero da qualcuno, ma se per caso il club ha nel proprio database come “sospetto” proprio quel numero di serie, tu all’ingresso corri il pericolo della confisca. Anni fa un signore italiano scrisse una lettera a un quotidiano, che per ovvia ignoranza della situazione la pubblicò dandole pure enfasi, protestando per il trattamento ricevuto dal Chelsea, dove gli avevano fatto storie per un biglietto che aveva regolarmente pagato. Il tizio, che a giudicare da alcuni elementi della lettera rappresentava al meglio (cioé peggio) la tipologia di turista italiano assai poco pratico delle lingue e delle consuetudini straniere e convinto che si possano applicare le norme nostrane, se l’era presa e aveva montato un casino tale che per metterlo buono il Chelsea gli aveva dato un rimborso o un biglietto per un altro settore (non ricordiamo), ma quel che era palese dalla lettera era che il biglietto in realtà era stato acquistato proprio da un rivenditore illegale e dunque il turista-tifoso aveva torto marcio, solo che ignorava – come il quotidiano che aveva pubblicato la sua protesta – quali fossero le procedure inglesi. Che è poi il sospetto che abbiamo avuto ascoltando alcune delle lamentele post Chelsea-Napoli, anche da parte degli inviati.

Il che porta ad una conclusione, amara: non è da escludere che quelli che hanno protestato siano i medesimi che invocano l’importazione del modello inglese in Italia. Purché non venga applicato a loro stessi…
Roberto Gotta (tratto da blog.guerinsposrtivo.it)  suggerito da Gianni Gravina

ilnapolista © riproduzione riservata