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Contro la Lazio sono arrivata tardi e mi è andato il panino di traverso

Chi era seduto in curva accanto a me sa che non avrei potuto raccontarvi altrimenti. Chi ha vissuto gli attimi prima del fischio d’inizio con me, sa che il tifoso che mi è rimasto appiccicato addosso, e, credetemi, non in senso metaforico, non poteva che essere lui. Chi ha avuto il coraggio di restare alla mia destra, sa che alla mia sinistra era seduto il protagonista di questo mio breve, ma doveroso racconto.

Questa è stata la sua Napoli- Lazio. E per qualche istante interminabile anche la mia. Una partita che difficilmente dimenticherò, quasi quanto quella dell’anno scorso. E non solo per le “male parole” dette a Marchetti e a Dzemaili.

Ebbene. Arrivo dopo gli altri allo stadio per motivi che non starò qui a spiegare e, dunque, occupo l’ultimo posto del nostro solito gruppo, quello che i miei compagni ignari della gentilezza che stavano per farmi mi avevano lasciato. Io li ringrazio, ignara della gentilezza che i miei compagni mi avevano appena fatto.

Mi guardo intorno, poca gente. Gli occasionali, si sa, colgono l’occasione. E sabato non è stata colta da nessuno. Napoli compreso.

Soliti preparativi. Coriandoli con fogli di giornale, due mini battute sul fuorigioco dell’Inter che arriva al nostro orecchio grazie alla tecnologia. Anche perché figuriamoci se lo speaker del San Paolo avrebbe potuto darci notizie sportive. Come se fossimo su un campo di calcio!

Come ho detto prima, arrivo tardi. Quando arrivi tardi, fai tutto più tardi. Fai più tardi il rito scaramantico, fai più tardi la pipì, saluti tutti più tardi. Mangi più tardi. E qui mi sono fregata da sola.

Ora, dovete sapere che per me mangiare il panino, farcito sempre allo stesso modo, non è un atto qualsiasi. Uno di quegli atti che fai perché hai fame. Mangiare il panino per me, e farlo prima del fischio d’inizio, significa adempiere ad ogni dovere di buon tifoso che non voglia portare sfiga. E fate attenzione a non trarre facili e offensive conclusioni, visto il risultato.

Insomma. Mi siedo, prendo il mio zainetto. Guardo l’ora. Ore 20:15. Giocatori già in campo per il riscaldamento, già ai tiri liberi, ma ce la posso fare. Dovessi farne un sol boccone. Prendo il mio panino. Lo scarto dai chilometri di carta trasparente che chi lo prepara per me (anche qui sempre la stessa persona per scaramanzia) meticolosamente avvolge intorno alla reliquia. Tento di addentarlo e…eccolo! Da sinistra una voce soave che dice: “Ma si stanno ancora riscaldando?”. Beh, sono le otto e un quarto. Si! Sorrido, rivolgo nuovamente il mio sguardo verso il panino, lo porto alla bocca e il mio orecchio sinistro capta un: “Sono due anni che sono tornato in curva!”. E da lì, giù a sciorinare tutta la sua vita, le sue conoscenze in curva, compreso uno del nostro gruppo, le sue passioni, la sua laurea, il suo master, la sua volontà di partecipare ad un concorso, la sua paura di non farcela per non avere raccomandazioni. Un concentrato di “giovane d’oggi, precario e giustamente indignato” in un balletto che ha visto come protagonista un panino in pieno valzer tra la bocca, il mento e le gambe..un, due , tre! Un, due, tre! Su e giù. Giù e su. Ogni frase, un tentativo. Ogni tentativo, un sorriso. Ogni sorriso, un battito sempre più ansioso che vedeva il fischio d’inizio pericolosamente sempre più vicino.

Signori. I ragazzi rientrano nello spogliatoio, lo speaker decide di fare il suo lavoro, il mio panino rientra intonso nello zainetto. Perfino quando ci alziamo per salire sui sediolini e urlare la formazione, lui continua a interagire con chi siede alla sua destra. Me. Salgo sul sediolino, mi rigiro verso il campo e mentre lui parla, io grido: “De Sanctis”!. Capisce che è arrivato il momento d’interrompere l’assolo e unirsi al coro.

Guardiamo la partita, restiamo delusi dal primo tempo. E nell’intervallo, ovviamente, ricomincia. Ma questa volta dice cose pessimiste, contro la squadra, contro i nuovi acquisti, si demoralizza. E’ solo allora che mi permetto di dirgli che se proprio deve parlare, allora deve incitare la squadra e crederci sempre! Lui sorride. Io mi siedo e mangio finalmente il mio panino.

La curva è un misto di volti di tutte le età, di mille reazioni alla stessa partita, di diversi sguardi con cui si analizza la prestazione. In curva ci si scambia opinioni, ci si conosce, ci si emoziona tutti insieme. Ma, soprattutto in curva si arriva molto prima per scegliersi il posto migliore. E sabato ho imparato una grande lezione.

Deborah Divertito

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