Il fascino del calcio è tutto in quel 30% di imponderabile di cui parla Carratelli

“Con la presunzione (ebbene, sì) di saperla lunga per avere visto duemila partite di calcio, non solo del Napoli, ho il vizio di “preparare” la partita (da scriverne poi) immaginandone lo scenario tattico sostenuto dalle informazioni sulle condizioni dei giocatori e sulle qualità degli allenatori. Devo dire che, al 70 per cento, le partite vanno […]

“Con la presunzione (ebbene, sì) di saperla lunga per avere visto duemila partite di calcio, non solo del Napoli, ho il vizio di “preparare” la partita (da scriverne poi) immaginandone lo scenario tattico sostenuto dalle informazioni sulle condizioni dei giocatori e sulle qualità degli allenatori. Devo dire che, al 70 per cento, le partite vanno come le immagino….” Questo l’attacco dell’ultimo pezzo di Carratelli. Come sempre molto intelligente e scritto con grande maestria. Prendo spunto per tornare su un tema che mi è caro.

Il fascino del calcio è proprio lì. In quel 30 per cento dei casi in cui le cose vanno al contrario delle più ovvie previsioni. E il risultato non è quello che si aspetta Carratelli.

Pensiamo ad altri sport. Il tennis? Si giocano centinaia di scambi. Il nastro? Il vento? Quanti ne possono influenzare? Pochi rispetto al totale. Per cui quasi sempre vince il favorito. Analoga è la scena nel basket. Dove, tra l’altro, buche, vento e falsi rimbalzi non esistono. La formula uno?

Chi ha l’auto più forte vince nella quasi totalità dei casi. E spesso arrivano in fila due macchine della stessa casa

Nel calcio altra musica. Si vince un match per uno o due goal di scarto. Cioè soltanto per uno o due episodi andati per il verso giusto. Se ne ricava che il caso in ogni singolo incontro può anche farla da padrone. E l’incidenza del caso va moltiplicata per venticinque attori in campo. Un fuorigioco non segnalato, un rimbalzo anomalo, un liscio imprevedibile, uno scivolone… et voilà il più forte va sotto. E vince il più debole. E’ in questo il vero fascino di questo straordinario sport. Poter sperare sempre di farcela. Sentirsi ad un pelo dal successo senza averne mai la certezza. Fino a quando l’arbitro non fischia la fine. Tutti possono battere tutti. In un singolo incontro, sia chiaro. Perché nell’arco di un lungo torneo il valore del caso si attenua. Per la legge dei grandi numeri gli episodi favorevoli e quelli sfavorevoli si bilanciano abbastanza.

Seguo il Napoli da cinquantasette anni. Ricordo l’ultima stagione di Jeppson , la retrocessione con Pivatelli e Gratton, la sbornia d’entusiasmo per Sivori e Altafini, il grande Krol e il mito dei miti. Ho visto sfumare scudetti già vinti (Napoli- Perugia 0-1, allenatore Marchesi ). E recuperare partite già perse. Momenti esaltanti e periodi bui. Eppure sono sempre andato alla stadio (oggi mi sintonizzo su Sky) con la fondata speranza di assistere alla vittoria del Napoli. Qualunque fosse l’avversario. E qualunque fosse il livello degli azzurri. Come mai? E’ semplice. Perché in una singola (sottolineo singola) partita di calcio può accadere di tutto. E quindi è sempre lecito sperare.

La molla che regola i comportamenti psicologici del tifoso mi è sempre apparsa paragonabile a quella che interviene nel giocatore d’azzardo. Un colpo può cambiare radicalmente le cose. Anche in una serata assolutamente sfavorevole. Ed in quel colpo il giocatore spera fino all’ultimo euro. Così come il tifoso fino all’ultimo istante di una partita. E questo è il bello del calcio.

Guido Trombetti

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