ilNapolista

Con Pesaola se n’è irrimediabilmente andato il calcio della mia gioventù

Con Pesaola se n’è irrimediabilmente andato il calcio della mia gioventù

Adesso che il Petisso non c’è più è irrimediabilmente vero. Il calcio della mia gioventù se ne è andato. Quello romantico. Divertente. Scanzonato. Fatto di molte astuzie. Tanta tecnica. Pochi allenamenti. Fatto di molta classe e pochi moduli. Di mille sorrisi. Di giocatori incontrati nei bar del Vomero. Di notti insonni avvolte dal fumo delle sigarette. Con poker e fuoriclasse a far compagnia. Sorrisi ammiccanti per spiegare che con Montefusco a marcare il terzino goleador Giacinto Facchetti si poteva fregare il mago Herrera. E trucchi, trucchetti… tanto poi ci pensavano Sivori ed Altafini.

Il calcio per lui era innanzitutto talento naturale. “Quando sento dire che Totti e Cassano non possono giocare insieme mi chiedo fin dove possa arrivare l’incompetenza” disse una volta in un’intervista a Repubblica.

Ed ancora “Scusi, Pesaola, lei ci ha preso in giro: non aveva detto che sarebbe venuto qui per giocare tutti allattacco? E invece la sua squadra non ha mai superato la metà campo…”. Si vede che l’avversario mi ha rubato la idea.

Questo era il Petisso. Sfrontato. Ironico. Mai arrogante.

Con i giocatori un rapporto colloquiale. Sempre teso a sdrammatizzare. A Eraldo Pecci che si giustificava in allenamento dicendo. “Mister io sono estroso” lui rispondeva prontamente “No , lei è estro…nzo!”

Si Maradona ariva alle due e venticinque gli do la maglia e lo mando in campo”. Questa la irridente risposta a un giornalista che gli chiedeva quali provvedimenti avrebbe assunto per punire l’indisciplina di Diego.

Per me Maradona era più forte di Pelé che non si è mai mosso dal Brasile e giocava in una squadra fantastica, capace di rivincere senza di lui i mondiali in Cile. Maradona ha vinto un mondiale quasi da solo, s’è messo in discussione in Europa. Diego è stato l’ultimo a prendere il calcio come un gioco, anche se era la sua vita, la sua fidanzata, la sua droga prima che arrivasse quell’altra. Un genio del pallone. Fuori dal campo, non era un intellettuale né un ignorante, era molto generoso, io lo so quanti soldi ha tirato fuori per gente che aveva dei problemi, a casa sua era una processione. Sul resto non posso giudicarlo, non ne ho il diritto, in un certo senso sono un tossico anch’ io, lasciamo perdere” disse sempre a Gianni Mura.

Il calcio lo aveva nel sangue il Petisso. Come aveva nel sangue i rapporti umani. Una incontenibile voglia di vivere facendo comunità .

“L’ultima stagione a Napoli è la 1967/68 e sul campo domina la strana coppia Altafini-Sivori. Si racconta che a Napoli Pesaola sacrifichi ore e ore del suo tempo libero per riuscire a “legare” due campioni così diversi. Entrambi sono reduci da delusioni cocenti, il primo ha “rotto” con la Juventus, l’altro con il Milan. Occorre stimolarli, restituire loro il gusto di giocare, ricostruirli psicologicamente. L’allenatore si sottopone volontariamente a una lunga serie di pranzi e cene a tre. Serate intere a discutere, a chiacchierare, a ragionare. “Farli convivere fu il mio capolavoro. Li invitavo spesso a cena, li coccolavo. La prima sera a casa mia siamo usciti sul terrazzo che dominava il golfo. Ho detto: ragazzi, questa è come una torta e ce n’è una fetta per tutti, basta che non ci rompano le scatole. O se preferite è una vacca con tre tette, io mi prendo la tetta più piccola, cerchiamo di non litigare (da storiedicalcio.altervista.org).

Pesaola, si sa, era un grande raccontatore di storie.

Storie di calcio. Storie di dolce vita. Lui che a Roma nella dolce vita ci aveva vissuto. Divenendo amico di celebri personaggi del mondo dello spettacolo. Raccontatore dicevamo.

Ad esempio amava parlare dei suoi rapporti con Achille Lauro. Che giocava a scopa con lui e Comaschi. E loro lo lasciavano vincere. O di quando, avendo deciso di iniziare una attività di floricultore a Sanremo, chiese un prestito al Comandante. Che glielo concesse soltanto dopo aver fatto le opportune verifiche. Certo il Petisso non era nato con il bernoccolo degli affari. Tutt’altro. Tanto è vero che non nuotava nell’oro. Ripeteva spesso: “Pochi sanno di calcio quanto me. Avessi avuto lo stesso fiuto negli affari, sarei miliardario”.

Con lui tutto un intero mondo se ne va. Una visione del calcio. Una filosofia. E adesso mi sembra di vederlo lassù. Sigaretta tra le labbra. Scherzare con Walter Chiari. Palleggiare con Di Stefano e Bulgarelli. Con il suo cappottone di cammello. Sotto al braccio della sua amata Ornella. Lassú nel Paradiso degli artisti affabulatori.
Guido Trombetti

ilnapolista © riproduzione riservata