Da Bearzot a Mazzarri, le confessioni di un cronista

Con la presunzione (ebbene, sì) di saperla lunga per avere visto duemila partite di calcio, non solo del Napoli, ho il vizio di “preparare” la partita (da scriverne poi) immaginandone lo scenario tattico sostenuto dalle informazioni sulle condizioni dei giocatori e sulle qualità degli allenatori. Devo dire che, al 70 per cento, le partite vanno […]

Con la presunzione (ebbene, sì) di saperla lunga per avere visto duemila partite di calcio, non solo del Napoli, ho il vizio di “preparare” la partita (da scriverne poi) immaginandone lo scenario tattico sostenuto dalle informazioni sulle condizioni dei giocatori e sulle qualità degli allenatori.

Devo dire che, al 70 per cento, le partite vanno come le immagino. Allora diventa un piacere scriverne perché è tutto più facile. Il 30 per cento riserva sorprese per nulla considerate. Per fare due ultimi esempi: Cagliari-Napoli e Napoli-Udinese sono andate “al contrario” di quelle che avevo immaginato.

Non sono un testardo e cambio “rotta” se la partita-sorpresa lo richiede. Non ho nessun pregiudizio su allenatori, giocatori e tattiche.

In Italia spesso siamo andati avanti guardando il calcio “ideologicamente”.

I sostenitori ad oltranza del catenaccio, anche quando l’Olanda cominciò a dimostrare che si poteva giocare “diversamente”, erano dei fondamentalisti pazzeschi. Chi scriveva di calcio interpretava le partite dal suo punto di vista (tattico). Chi sosteneva, alla vigilia, una “tesi”, se poi il match lo contraddiceva, tirava sempre l’acqua al suo mulino pur smentito dall’andamento della gara e magari dal risultato.

Memorabile resta la campagna di stampa contro Bearzot al Mondiale 1982 con giornalisti che, dopo lo stentato avvio della nazionale, fecero una autentica crociata contro l’onestissimo friulano del contropiede manovrato e qualcuno di gran nome promise (e non mantenne) che sarebbe tornato a casa, “schifato” da quella nazionale.

Poi l’Italia vinse il titolo mondiale, strabiliando soprattutto contro Brasile e Argentina, e nessuno tornò a casa e tutti elevarono epinici e gloria mundi e per poco non scrissero “io l’avevo detto”.

Io lavoravo al “Guerin sportivo”. Noi e “Tuttosport” dell’indimenticabile Pier Cesare Baretti fummo i soli a sostenere gli azzurri e il “vecio con la pipa”.

Così come sono oltranzisti i “sacchiani” ed è stato oltranzista Sacchi, un Khomeini del pallone, divorato dall’ambizione di cambiare il tran-tran del calcio italiano (e sotto certi aspetti riuscendoci).

A parte che, con Rijkaard, Van Basten, Gullit, e Franco Baresi, puoi cambiare il .. mondo, il caro Arrigo, di cui ricordo sempre la massima calcistica “occhio, pazienza, memoria e bus de cul”, se non avesse vinto “quella” partita a Napoli e lo scudetto, sfondando poi nella Coppa dei campioni (però quella prima finale di Barcellona con lo Steaua, mah! e la nebbia di Belgrado?), sarebbe mai diventato Sacchi?

Scrivo queste note per entrare più in confidenza con i napolisti e per dissipare soprattutto i “sospetti” che io sia contro o a favore di Mazzarri, contro o a favore di De Laurentiis, contro o a favore del Napoli e che abbia quel giocatore in simpatia e quell’altro in antipatia. Non è così.

Nella mia vita di cronista sportivo ha venduto l’anima e il cuore solo a Bruno Pesaola e la testa a Luis Vinicio. Non che ne giustificassi gli errori, quando accadeva, ma, insomma, li sottolineavo con … tenerezza e con la reazione dispiaciuta del tifoso. In realtà, non ho mai “remato”, come suol dirsi, contro nessuno e i colori azzurri del Napoli mi fanno un certo “velo”.

Così come non “parteggio” per alcun modulo tattico. Alla fine ne capisco poco e non mi convincono quelli che dicono che un modulo fa vincere piuttosto di un altro.

Credo che siano i giocatori in campo a vincere o a perdere e che l’allenatore abbia una influenza del 30 per cento, altri del 50 per cento per la capacità di galvanizzare la squadra e “vedere” la partita (Pesaola), di innovare e tenere in pugno il gruppo (Vinicio). Mi fermo ai tecnici di casa nostra.

Mazzarri è al di là. I suoi meriti vanno al 60 per cento perché l’uomo è preponderante sul gruppo, ha grinta ed è notevole il suo lavoro durante la settimana. Sarebbe lo stesso se dovesse guidare non fedelissimi esecutori, ma campioni con grande personalità? E’ un interrogativo che non ha risposte per il momento. Per il momento, è indubbio che ha creato questo Napoli. Non è altrettanto brillante a bordo-campo, ma se lo fosse sarebbe veramente il number one.

Se le partite vanno diversamente da come le immagino due sono le reazioni. Se il Napoli fa cilecca, mi incazzo per il “pezzo” e per il Napoli. Se il Napoli mi stupisce e mi “contraddice” sono felice di “girare pagina”. In tutti e due i casi, maledico e stramaledico perché devo “scrivere” una partita “diversa” da come l’avevo “organizzata”, e questo è meno facile.

In ogni caso, non scrivo mai “a dispetto”. Non difendo mai le mie previsioni. Prendo atto che le cose sono andate in altro modo.

Le due “situazioni” mi insegnano a non criticare mai “per partito preso” e a controllare l’emozione se gli azzurri filano a meraviglia.

Però le ultime prestazioni del Napoli si prestavano obiettivamente a una disamina critica, come spesso avviene per le dichiarazioni di Mazzarri (e di De Laurentiis, no?). Disamina nel tentativo di capire che cosa non andasse col dispetto, questo sì, di non capirlo. Né quelli che vanno tutta la settimana a Castelvolturno aiutavano a capire. Così che, in vista di Napoli-Udinese, vedevo nero, non solo per il cielo da nubifragio di mercoledì.

La partita è stata il contrario delle mie previsioni. Per merito del Napoli, risorto magicamente nonostante Cavani e Hamsik siano ancora “in panne”. Per demerito dell’Udinese che non ha giocato come “doveva”. L’assenza di Di Natale e Isla non giustifica l’ora di non-gioco dei friulani. Non gli ho dato peso.

Però ho commesso un errore. Non mi sono ricordato bene dell’ultima partita dell’Udinese (3-0 al Novara) in cui aveva giocato così-così e segnato i primi due gol in maniera fortunosa. Avrei dovuto ricordarmene per non vedere … nero. E considerare anche che squadre come l’Udinese, come il Napoli di due anni fa, non reggono lo “stress” dell’alta classifica non essendo state progettate per volare alto.

Il Napoli mi ha stupito. Credevo fosse in un periodo di totale magra (atletica e mentale) e invece aveva ragione Mazzarri: quando il Napoli va giù, ha una reazione e torna la squadra brillante che tutti vorremmo sempre. Ma sempre, ovviamente, non si può.

Non ne farei un dramma se, dopo la partita, ha parlato solo Lavezzi. Credo che Mazzarri fosse … stanco o intimamente incazzato per le critiche dei media degli ultimi tempi. Ma Mazzarri non conosce Napoli. Non sa quanto è stato “crocefisso” Pesaola e come è stato “trattato” Vinicio. E dimentica che, dovunque, l’allenatore è sempre nell’occhio del ciclone. Quindi, calma. Nessuna stizza.

Che il Napoli abbia dominato l’Udinese per un’ora di gioco senza l’apporto pieno di Cavani e Hamsik accresce paradossalmente i meriti del successo e della prestazione-super.

Però avreste mai “scommesso” su Aronica? Vi state ricredendo su Cannavaro? E sul Pocho che segnava eravate proprio sicuri? Insomma, non era facile prevedere la vittoria soprattutto per come è splendidamente maturata.

Il centrocampo a cinque dell’Udinese non s’è visto per un’ora, superato dai lanci dei difensori azzurri o infilato, “palla al piede”, da quelli che uscivano dalle retrovie e andavano avanti con bella padronanza. E sulle cosiddette fasce, gli esterni azzurri hanno fatto un partitone sia nell’ora di gioco in cui il Napoli ha spinto, sia nella mezz’ora finale in cui Maggio e Dossena hanno completato una saggia difesa a cinque.

Adesso, dopo Catania, qualche amico mi sussurra che il Napoli farà una sorpresa “a Bayern”.

Mimmo Carratelli

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