Il Napoli esempio di buona amministrazione

Molti di noi vivono, io vivo il rapporto con la passione per il calcio quasi con pudore. Trafitti da un senso di colpa. Come si può in un mondo in crisi globale esultare per la banalità di un goal? Come si può conciliare la bruttura di tante violenze, il dramma della disoccupazione estesa, la crisi […]

Molti di noi vivono, io vivo il rapporto con la passione per il calcio quasi con pudore. Trafitti da un senso di colpa. Come si può in un mondo in crisi globale esultare per la banalità di un goal? Come si può conciliare la bruttura di tante violenze, il dramma della disoccupazione estesa, la crisi dell’organizzazione sociale con il piacere per la vittoria di una squadra di calcio? Come si può dedicare, insomma, tempo a questo sport “plebeo”?
Domande come queste me le pongo tutte le volte che sugli spalti o davanti ad un televisore (ormai praticamente soltanto in poltrona davanti alla tv) mi accingo “a tifare”, “a gioire”, “a soffrire”.
Ed ho trovato una risposta. Forse di comodo. Un uomo ha bisogno di socializzare attraverso il gioco. Di partecipare ad una comunità attraverso il gioco. Fanno parte della sua esigenza di astrarsi per un po’ dalla realtà che lo soffoca, lo obbliga, lo costringe.
Nella storia dell’umanità il gioco ha sempre avuto un ruolo fondamentale. È presente in tutte le epoche. Sotto tutte le latitudini. In tutte le culture. In tutte le forme. Dalle più violente alle più tenere. Dai gladiatori al gioco di società. Dal gioco d’azzardo al questionario di Proust… Con una caratteristica fissa. Il gioco è utile, ed è un gioco, se è una cosa inutile. Deve essere una cosa inutile. Sconnesso da ogni finalità pratica. Il gioco proprio per la sua caratteristica di “inutilità” esalta la capacità dell’uomo di abbandonarsi al sogno. E sognare è liberatorio.
Tra i giochi quello del calcio ha un che di naturale. Date una palla ad un bambino e questo, quasi sempre, la prenderà a calci. Poi è un gioco di squadra. Ed educa a cooperare. Infine è tra i giochi quello nel quale con più frequenza non vince il più forte. E questo gli conferisce il sapore della eterna speranza. Non parti mai battuto al cento per cento.
E veniamo alle cose di casa nostra. Il Napoli è (sia pure in condominio) al secondo posto in classifica. I tifosi esultano. Certamente i problemi della città restano. Sono lì sotto gli occhi di tutti. Quindi non è il caso di eccedere nell’entusiasmo. Non è vincendo una partita di calcio che si risolve il problema della criminalità. Né il secondo posto in classifica incide, purtroppo, sul tasso di disoccupazione. “Francamente, è difficile dire come uscire da questo antro in cui ci siamo cacciati” dice Maffettone. E come dargli torto. Però nemmeno è ragionevole far calare il silenzio su ogni evento positivo. Fosse anche il più futile degli eventi. Forse è soltanto necessario non esagerare. Anche un successo del Napoli può essere utile. Se lo si legge come il frutto di un’accorta politica aziendale. Come la testimonianza che una società ben amministrata può farsi largo nel panorama nazionale. Costruendo il successo sulla base della buona amministrazione. Senza guasconerie e fughe in avanti. Napoli ha tante eccellenze. La società di calcio si candida ad entrare tra di loro. Senza per questo dimenticare che si tratta solo di una società di calcio. Acquisire fiducia nelle risorse di questa città produce emozioni positive. E queste ultime servono, eccome servono. Per il resto lo so. Stiamo solo parlando di calcio. Ho scritto poc’anzi l’importante è non esagerare. Ma a noi napoletani forse non è dato di non esagerare. Come mai? Non lo so. Forse si tratta, come ho detto altre volte, semplicemente di un dato antropologico. Nell’esultare e nell’avvilirci siamo esagerati. Sempre esagerati. Esagerati per natura.
Guido Trombetti
(dal Riformista del 14 dicembre)
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