Il rapporto tra i tifosi e le rispettive società è semplicemente paradossale. Non hanno alcun diritto, anzi uno ce l’hanno, si fa per dire, quello di lamentarsi o di sognare, utilizzando le più svariate modalità (caffè dello sport; blog; lettere al direttore; striscioni; sfasciare in tutto o in parte gli stadi). Eppure sono loro i consumatori finali dello spettacolo sportivo; senza di loro il calcio sarebbe un evento virtuale. La sigla societaria, che li rappresenta nel bene e nel male, appartiene a un imprenditore che possiede il titolo sportivo della società, anche se il titolo si identifica con la città, il tutto senza nessuna investitura, ma soltanto in virtù di una transazione commerciale.
In buona sostanza, in un sistema integrato, qual è il calcio moderno, nel quale tutte le componenti sono interdipendenti, al tifoso che costituisce un elemento essenziale di tale contesto, non viene riconosciuta alcuna legittimazione e nessun tipo di rappresentanza nell’ambito della propria società.
Questo problema che in nessuna sede viene posto, anche se recentemente Platini ha accolto con favore la proposta inglese di riservare ai tifosi una quota azionaria del 25%, costituisce uno dei motivi per cui sono assolutamente favorevole alla tessera del tifoso.
In verità sono sconcertato nel leggere, anche sul Napolista, tante voci contrarie, che non hanno alcuna ragionevole motivazione, almeno da parte delle persone perbene. La tessera del tifoso è uno strumento di fidelizzazione che identifica i tifosi di un club e serve, contrariamente alla vulgata corrente, solo per seguire in trasferta la propria squadra ed entrare nel settore ospiti dello stadio.
A mio avviso è un prezioso strumento di partenariato che si rivolge ai supporters per renderli protagonisti di un percorso di affermazione della legalità negli stadi e nei luoghi interessati dalla loro presenza.
Sicuramente concorre a rafforzare le strategie di contrasto del fenomeno della violenza negli stadi, che se non assume aspetti devastanti è merito soltanto della presenza massiccia delle forze dell’ordine. Basta considerare che per il derby della Capitale vennero impiegati duemila uomini.
Ricollegandomi alla questione enunciata inizialmente, la tessera del tifoso, realizzando di fatto una aggregazione di soggetti appartenenti a una stessa comunità, cioè una forma di associazionismo sportivo, può costituire la svolta verso il riconoscimento della legittimazione del tifoso quale soggetto del sistema calcio e per l’effetto la titolarità non soltanto di doveri, ma anche di diritti (ad esempio, come farebbe il Viminale a vietarne le trasferte).
Se questi sono gli scenari possibili, il mio auspicio è che la tessera del tifoso possa diventare in un tempo non lontano la tessera di socio di un grande Calcio Napoli, come i 165.000 soci del Barcellona, che non si sentono certamente schedati.
Antonio Patierno
A Barcellona i tifosi
non si sentono schedati
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