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In difesa di Pepe Reina

È da dissennati chiedere che si accomodi in panchina. Il giudizio schizofrenico della città nei confronti del portiere spagnolo.

In difesa di Pepe Reina
Reina in una foto di Matteo Ciambelli

Jose Manuel Reina Paez, meglio conosciuto come Pepe Reina (non PapeReina, come ha titolato un giornale oggi). Portiere del Napoli, 34 anni, arrivato in città nel primo anno di Rafa Benitez che lo aveva avuto a Liverpool. Arrivò nell’estate del 2013, quindi, con lo stesso volo di Gonzalo Higuain. Nelle immagini tv, lui era quello che a Roma si caricava il borsone a tracolla mentre Gonzalo era servito, riverito e una punta infastidito dalla folla.

Da salvatore della patria a vecchio rottame

Come spesso accade nel calcio e nella nostra città, il giudizio relativo a Reina segue un andamento che potremmo definire schizoide. Eroe, delusione, salvatore della patria, vecchio rottame. L’eroe ci apparve nella sua magnificenza quando mostrò i suoi allenamenti nei pre-partita al San Paolo, quei lanci con i piedi mai visti prima, e poi in partita con una presenza scenica non indifferente e una capacità seduttiva riscontrabile in città anche con donne – e perché no uomini – che il calcio non lo seguono nemmeno di striscio. Reina fu un protagonista di quella prima stagione di Benitez, protagonista a fasi alterne – ora non tutti lo ricordano – tra infortuni fisici e altri di gioco. In pochi ricordano che in quella stagione un po’ di partite le giocò Rafael (otto in campionato, una in Champions e una in Europa League) e che addirittura si stava creando il dualismo fino all’infortunio di Swansea.

Finimmo a giocare con Andujar

In città non erano pochi i sostenitori del portiere brasiliano. La stagione successiva – assenza, acuta presenza (cit.) – un autolesionistico dissidio economico-finanziario portò Reina lontano da Napoli, a Monaco di Baviera a fare il secondo di Neuer. Una partenza che privò il Napoli non solo del suo primo portiere, del regista difensivo, ma anche di un leader nello spogliatoio. Perché Reina è leader. C’è poco da fare. Piaccia o meno. A fine anno, più che Khedira, Mascherano e altri, il più grosso rimpianto di Benitez fu proprio Pepe Reina. Fu una stagione disastrosa dal punto di vista dei portieri (non dei risultati): Rafael non si confermò dopo l’incidente, addirittura venne sostituito – a furor di popolo – dal mediocre Andujar, anche se fu uno dei principali protagonisti dell’ultimo trofeo sollevato dal Napoli: Doha 2014. Come sarebbe andato quell’anno con Reina? Ah, saperlo.

“Nennella”

Il dopo Benitez comincia con lui. Reina è il primo acquisto del Napoli post-Rafa, ancor prima di diventare il Napoli di Sarri. Pepe torna a furor di popolo. E lui ci marcia anche. Ostenta amore per la città, ne decanta la bellezza sui social network, si fa fotografare nella nota trattoria dei Quartieri Spagnoli “Nennella”. Insomma, Reina uno di noi. Uno che ha sposato Napoli per amore. Una cazzata? Certo che sì.

Ma perché Reina si sarebbe dovuto comportare diversamente? È il copione che Napoli desidera che venga recitato e lui lo ha fatto. Chi si è comportato diversamente, insinuando qualche dubbio nella granitica certezza che siamo la città e il popolo più bello del mondo, ha ricevuto trattamenti non proprio eleganti.

Certo che Reina è tornato a Napoli, riducendosi lo stipendio, per chiudere la carriera. Era ed è evidente a tutti. Lui ci ha marciato sulla napoletanità ma non possiamo fargliene una colpa. Lo spartito richiesto a Napoli è questo. Se vuoi suonare, devi impararlo.

L’esigenza di un 12 affidabile

Però, diciamolo, Reina dei meriti calcistici li ha. Altrimenti non sarebbe partito per rispondere all’ennesima convocazione nella Nazionale spagnola. Sicuramente lo scorso anno ha palesato più di una difficoltà sui tiri da lontano: ha incassato preoccupante una serie di gol al San Paolo. Campanello d’allarme che avrebbe dovuto spingere il Napoli ad acquistare un portiere di riserva su cui fare affidamento. Un portiere da crescere all’ombra di Pepe. Senza cedere Pepe, perché Reina è troppo importante per questa squadra. Non è avvenuto. La trattativa con l’Atalanta per Sportiello non è andata a buon fine, con danno per tutti: Sportiello ha perso il posto e il Napoli non ha trovato una riserva davvero affidabile. Perché, diciamolo, chiedere oggi la sostituzione di Reina – in un Napoli che tutto è tranne che sereno – è da dissennati. A caos rispondiamo con caos e mezzo. Perché né Sepe né Rafael sembrano pronti ad affrontare un esame del genere in queste condizioni ambientali. E questo è certamente un errore della società.

L’errore di volerlo in panchina

Reina, con tutti gli errori commessi, resta il portiere più affidabile della nostra rosa. Anche perché gli errori vanno contati, e vanno contate anche le parate e anche altro va preso in considerazione. Oggi, dopo il gol incassato da Keita (insisto, non è solo colpa sua) sembra emergere solo il negativo di Reina che sì ha commesso altre leggerezze in stagione ma ci ha anche salvati (a Genova, a Crotone, a Kiev, col Benfica), insomma ha fatto il portiere e non solo. Chiedere la “messa in panchina” di Reina in un momento come questo vuol dire esporre il Napoli a un rischio di naufragio. Non sempre la rimozione di una pedina è la soluzione di un problema. Manca il centravanti. Cambia il portiere. Prendi un trequartista. Non è così che funziona. Funziona che quando un gruppo gioca in serenità, quando società e allenatore remano nella stessa direzione, lo stucco riesce a compiere miracoli. Se cominciamo con la sostituzione ad personam pensando che sia quella la cura, ci troveremo tra un mese a giocare con un Napoli totalmente nuovo: negli undici in campo e anche in panchina.

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