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Dietro Raiola l’ombra dei fondi d’investimento. Ma Blatter e la Fifa non sono mammolette né idealisti

Dopo aver letto in un lancio d’agenzia che Mino Raiola intendeva candidarsi alla presidenza della Fifa contro Sepp Blatter, ammettiamo che ci è scappato un sorriso pensando a uno scherzo o a una boutade pubblicitaria, poi le dichiarazioni del noto agente di calciatori hanno fugato ogni dubbio.

Indubbiamente è affascinante pensare a una rottura così radicale degli schemi di governo che hanno caratterizzato la Fifa negli ultimi 40 anni, fin dal 1974 quando è salito al potere Joao Havelange (avvocato ed ex olimpionico di nuoto) al quale è succeduto poi nel 1998 Sepp Blatter.

Guardando ancora più indietro, troviamo figure di ben altro spessore come Robert Guérin, in carica negli anni 1904-06, giornalista e co-fondatore della Fifa, che fu uno dei promotori della nascita di questa associazione sportiva. Dopo di lui Daniel Woolfall (1906-1918) ex dirigente della Football Association inglese che promosse l’internazionalizzazione delle regole del gioco e cercò di estendere la Fifa anche alle nazioni extraeuropee. Seguì alla carica di presidente Jules Rimet (1921-1954) noto universalmente come uno di coloro che determinarono la nascita della Coppa del Mondo, che tra l’altro gli fu intitolata fino al 1970. È stato il suo il mandato più lungo come presidente, un servizio che svolse per 33 anni. Rodolphe Seeldrayers (1954-55) fu tra gli artefici della nascita di numerose federazioni sportive e dell’unificazione delle diverse discipline nel Comitato Olimpico Belga. Arthur Drewry (1955-1961) arrivò alla presidenza della Fifa dopo una lunga carriera come dirigente sportivo dal Grimsby Town, alla Football League fino alla Football Association. Infine Stanley Rous (1961-74) ex arbitro internazionale ed unico della sua categoria a essere giunto fino alla carica maggiore del calcio mondiale.

Tirando le somme, la Fifa ha avuto 6 presidenti per i primi 60 anni della sua esistenza e poi solo 2 nei successivi 41. Da organo di rappresentanza sembra quindi essersi trasformato in oligarchia, o meglio ancora monarchia pressoché assoluta, visto il controllo delle risorse finanziare legate al mondo del calcio oltre che delle regole (considerato che i custodi dell’Ifab sono molto meno autonomi di quanto possa apparire).

È questa la Fifa che si appresta a rinnovare nel 2015 le sue cariche e ad eleggere (forse) un nuovo presidente. Ed è questa associazione, dove le relazioni tra rappresentanti sono basati su rapporti (e interessi) di lunga data, associazione da sempre allergica alle novità e ai cambiamenti nati fuori da sé, che Mino Raiola vuole scalare per riportare il gioco al centro della scena.

A dirla così sembra spontaneo chiedersi dove sia stato finora Mino Raiola, uno dei re del calciomercato, protagonista di trasferimenti multimilionari e agente di calciatori di profilo internazionale (Ibrahimovic, per dirne uno). Mostrare un interesse così idealistico potrebbe essere figlio di una folgorazione sulla via di Damasco? Viene spontaneo chiedersi se sia l’interesse sincero di un amante del gioco, come probabilmente è per la maggior parte dei tifosi, oppure se l’interesse per la presidenza sia legato ad altri possibili stravolgimenti nel mondo del calcio.

È sotto gli occhi di tutti che la Fifa stia provando (finora senza riuscirci granché) a mettere in offside le cosiddette Tpo, i fondi di investimento che controllano calciatori e anche alcuni club. Ed è chiaro che se la Fifa davvero si impegnasse realmente, potrebbe contrastare questo fenomeno che appare sempre più come una tratta di uomini (ben pagati, per carità, ma pur sempre una tratta). Uomini spostati da una città all’altra, da un continente all’altro come pedine con il fine ultimo di generare un utile per il fondo speculativo. Una massa di movimenti che finiscono con il generare dubbi sulla finalità sportiva della gestione di club e calciatori.

Non sarà comunque facile per Raiola, o per chiunque altro, insidiare la rielezione di un Blatter in carica da quasi un ventennio e che coltiva relazioni e rapporti con tutti coloro che sono chiamati al voto. C’è però un dettaglio non irrilevante in questa vicenda. La recente indagine di Michael Garcia sull’assegnazione dei Mondiali in Russia (2018) e Qatar (2022) ha evidenziato quanto meno delle opacità che lo stesso procuratore ha denunciato pubblicamente dopo aver rassegnato le sue dimissioni quando ha visto insabbiata la sua indagine: «Nessun investigatore, nessuna commissione indipendente può cambiare la cultura di un’organizzazione».

Cultura dunque. La cultura della Fifa. Quella che ha visto numerosi membri negli ultimi anni protagonisti di episodi più o meno clamorosi di corruzione, dimostrando che l’associazione è tutt’altro che impermeabile a certe sollecitazioni e denunciando quindi una debolezza di fronte a forti interessi economici (quali potrebbero essere ad esempio quelli dei fondi di investimento) che potrebbero voler condizionare le elezioni.
Andrea Iovene

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