Abbiamo pagato l’inesperienza, ma fa parte del gioco (e ora non dobbiamo abbatterci)

Abbiamo perso. Abbiamo perso 4-1 contro una squadra non più forte di noi. Abbiamo perso e siamo fuori dalla Champions. Una Champions che non avevamo mai visto né tantomeno immaginato.Siamo arrivati in punta di piedi e siamo stati sbattuti nella classe più difficile, con i professori più severi, eppure ce la siamo cavata alla grande. […]

Abbiamo perso. Abbiamo perso 4-1 contro una squadra non più forte di noi. Abbiamo perso e siamo fuori dalla Champions. Una Champions che non avevamo mai visto né tantomeno immaginato.Siamo arrivati in punta di piedi e siamo stati sbattuti nella classe più difficile, con i professori più severi, eppure ce la siamo cavata alla grande. Secondi nel girone di ferro. Promozione da otto in pagella. E ci siamo conquistati il diritto a vivere una serata come questa. Non per fare il tifoso, ma anche dopo stasera il voto rimane altissimo.

Epperò non si può non giudicare la partita di questa sera. Non avevamo perso contro il Manchester City che pure in Premier è ben più avanti dei Blues. Questa sera, però, era diverso. Questa sera, per la prima volta, entravamo in campo da favoriti. E lo abbiamo pagato. Abbiamo giocato straordinariamente bene fin quando non ha segnato Drogba, fin quando Stamford Bridge non si è trasformato in un’arena. A quel punto, progressivamente, siamo calati. Anche con un pizzico di sfortuna, considerato l’infortunio di Maggio, un uomo decisivo in Europa.

Contrariamente a tutte le previsioni ascoltate, il Chelsea non è affatto partito a testa bassa. Sono abituati a giocare partite simili. Non avevano il batticuore. Dovevano segnare due gol ed erano consapevoli di poterli fare. E avevano capito anche come farli. Crossando. Mettendola in mezzo. Semplicemente. Così ha segnato Drogba. Così ha raddoppiato Terry (sontuosa partita la sua). Così si sono procurati il rigore trasformato da Lampard che ha suggellato il marchio della vecchia guardia, quella che aveva messo alla porta Villas Boas. Il Napoli già non c’era più. Non era bastato nemmeno il gol capolavoro di Inler a invertire il trend della partita.

Eravamo già entrati nella dimensione Antibo, il mezzofondista siciliano vittima di una forma di epilessia che ogni tanto lo colpiva anche in gara. Si assentava dal contesto e arrivava buon ultimo senza nemmeno rendersi conto di quel che stava avvenendo. Non siamo abituati a certe platee, ed è fisiologico. Il vero successo, infatti, è esserci stati a Stamford Bridge, esserci entrati da favoriti, e aver giocato 120 minuti prima di arrenderci. Resta l’amarezza, enorme. Ma anche tanta consapevolezza dei nostri mezzi.

Ora, bisogna capire quel che sarà. Se il progetto, come sono convinto, proseguirà, questa serata è un passaggio importante, fondamentale. Che pone le basi per tante serate simili, tante attese speranzose. Altrimenti resterà un fantastico ricordo da cullarsi e raccontare.

Io, lo ammetto, non ero fiducioso. Non mi piaceva il clima che si era creato. Non mi piace mai quando percepisco un’eccessiva euforia, già si facevano ipotesi sull’avversario da incontrare ai quarti. Nemmeno le parole di Mazzarri in conferenza stampa mi erano piaciute. Mi avevano ricordato quelle di Spalletti prima di un Manchester United-Roma passato alla storia. Avvertivo una tranquillità che non mi trasmetteva nulla di buono. Ma a questa squadra, allenatore e presidente compresi, nulla si può dire. Vanno solo applauditi. Hanno giocato su un palcoscenico a loro sconosciuto. E un conto è steccare al Palapartenope, un altro è farlo all’Opera di Parigi. E lo abbiamo pagato.

Ora è bene non abbattersi. Domenica sera c’è una sfida decisiva per conquistare il diritto di vivere altre serate così. Stiamo diventando grandi e ogni tanto può capitare di cadere.

Massimiliano Gallo

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