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Pompei sta per scomparire. Importa a qualcuno?

“Si imparerebbe meglio la storia del popolo romano in poche gite a Pompei restaurata che con la lettura di tutte le opere antiche … Del resto gli edifici cadranno tra poco; le ceneri li hanno inghiottiti ma li hanno conservati: l’aria li frantumerà, se non vi si pone rimedio. … Basterebbero un po’ di mattoni, d’ardesia, di gesso, di pietra, di travi e di lavoro di falegname. Un abile architetto restaurerebbe le case secondo lo stile locale, servendosi dei modelli offertigli dai paesaggi dipinti sui muri stessi di Pompei”. Con queste parole nel Viaggio in Italia, agli inizi dell’Ottocento, Chateaubriand descriveva la città antica, dopo averla visitata per la prima volta. Una visita quasi imprescindibile per chi fosse giunto in Italia, almeno tra Settecento ed Ottocento. Per questo la lista dei visitatori più o meno famosi che vi giunsero è senza fine. Prima di Chateaubriand, Goethe e Dumas, dopo Stendhal e Lamartine. E moltissimi altri.

Con stupore e ammirazione si osservavano le diverse parti, che il procedere degli scavi svelava. Goethe, visitando Pompei con l’amico pittore Tischbein nel marzo del 1787, nel suo Viaggio in Italia scrive di “strade strette, ma diritte e fiancheggiate da marciapiedi, casette senza finestre, stanze riceventi luce dai cortili e dai loggiati attraverso le porte che vi si aprono: gli stessi pubblici edifici, la panchina presso la porta della città, il tempio e una villa nelle vicinanze, simili più a modellini e a case di bambola che a vere case. Ma tutto, stanze, corridoi, loggiati, è dipinto nei più vivaci colori … agli angoli e alle estremità, lievi e leggiadri arabeschi, da cui i svolgono graziose figure di bimbi e di ninfe, mentre in altri punti belve e animali domestici sbucano da grandi viluppi di fiori”.

Rileggere quelle descrizioni, quei semplici cenni, pieni di meraviglia, stride con il presente. Con quanto quella città ha raccontato, inconsapevolmente, negli ultimi anni e quanto continua, in maniera sempre più inerme a raccontare. Se le storie del passato sono cronache di scoperte, di primi timidi e disarticolati restauri, quelle più recenti sono resoconti di crolli, distruzioni, mala gestione. Neppure la Pompei che ebbe a soffrire i bombardamenti nell’ultimo conflitto mondiale, si presentava così staticamente prigioniera degli eventi. Immobile di fronte alla sua lenta, ma quasi ineluttabile distruzione.

In attesa dei nuovi fondi europei, il cui importo è tutt’altro che definito, le strutture di domus e teatri, i rivestimenti parietali e pavimentali, pitture, affreschi e mosaici continuano a degradarsi. Nel frattempo sembrano svaniti i milioni annunciati con spot negli anni scorsi durante le varie fasi del commissariamento. A parte i 4 milioni finiti nell’interminabile restauro della Casa dei Casti Amanti, non sembrano conoscersi su quali criticità siano state impegnate le restanti risorse.

Ma intanto il succedersi delle stagioni, naturalmente, degrada parti di un tesoro che andrebbe salvaguardato e, naturalmente, mantenuto. Così continuano a deteriorarsi tanti affreschi, quasi sempre senza alcuna protezione e non meno i mosaici. Come quello della Casa del Fauno, non diversamente da quelli nella via di Mercurio nella regio VI. Proprio le precarie condizioni di conservazione rendono visitabili da diversi anni un numero assai esiguo di domus. Anche queste non può certo affermarsi che godano di buona salute. Tanto per farsene un’idea basta entrare nella domus del Menandro e guardare le pitture delle sale per rendersi conto delle loro condizioni preoccupanti.

Il rammarico e il disappunto cresce rilevando come continuino a rimanere inaccessibili anche strutture sulle quali sono stati fatti investimenti importanti. Come per la casa di Cecilio Giocondo, sulle quali sei anni fa fu spesi una parte cospicua di quasi nove milioni di euro.

Manca personale e le risorse sono più che insufficienti, si dice. È vero. I quattro operai non specializzati che fino a due mesi fa dovevano badare a tutti i 66 ettari di scavi erano una forza lavoro inadeguata. Né, d’altra parte potranno sanare la situazione le nuove assunzioni, dal momento che esse dovranno occuparsi, oltre che di Pompei, anche di Ercolano, Napoli, e tutti gli altri beni della provincia. Ma a fronte di tutto questo, forse, esiste un vulnus più grave, perché strutturale. Dunque finora insito, pervicacemente connaturato a qualsiasi azione abbia riguardato Pompei. La mancanza di una reale trasparenza nelle operazioni, sia di quelle di gestione che di quelle più propriamente tecniche. In attesa che giungano i tanto attesi fondi della Ue non sarebbe male se si preparasse il campo, definendo competenze e ruoli, spese e criticità sulle quali investire. Se si perderà anche questa occasione per girare pagina, Pompei continuerà a morire. Quasi senza appello. (tratto da linkiesta.it)

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