No, ascoltare la musichetta allo stadio non è come sentirla in tv

Resto sempre stupita, ogni volta che entro allo stadio. Che sia la Posillipo, i Distinti, la Nisida di stasera, ogni volta è come sentirmi a casa. Oggi poi, in quella che un tempo di chiamava Tribuna Laterale, c’erano un sacco di amici e, mentre guardavo i Distinti che si riempivano lentamente, è stato bello chiacchierare […]

Resto sempre stupita, ogni volta che entro allo stadio. Che sia la Posillipo, i Distinti, la Nisida di stasera, ogni volta è come sentirmi a casa. Oggi poi, in quella che un tempo di chiamava Tribuna Laterale, c’erano un sacco di amici e, mentre guardavo i Distinti che si riempivano lentamente, è stato bello chiacchierare anche un po’. Gli attimi di tensione, euforia e depressione che precedono ogni partita sono così pieni e densi da essere difficilissimi da raccontare. Potrebbero essere parti incantevoli di romanzi, di quelli in cui, per esempio, ci sono due mondi distanti che si incontrano o che si scontrano, e che hanno una passione grandissima a legarli stretti. Perché tutti quelli che sono lì dentro, per quanto quotidianamente conducano vite completamente diverse ed abbiano preoccupazioni diametralmente opposte, occupano quei sediolini rossi per lo stesso motivo: l’azzurro del Napoli.
Mentre guardavo la partita, stasera, pensavo che il destino dei tifosi di questa squadra, di tutti noi, è il non poter vivere tranquilli, il non poter dire mai, prima, “stasera finirà così”. Ed è questo che probabilmente ci rende unici e meravigliosi. Stasera, mentre mostravamo tutta quella fame di vittoria, mi è venuta in mente una sola cosa, che per anni siamo stati dei perdenti e che essere di nuovo lì, in mezzo a tutti quei flash, valeva ogni cosa avessimo vissuto tutti in questa giornata. La cosa più grande di tutte, la musichetta. Non è lo stesso ascoltarla in tv ed essere proprio lì. Da oggi, tutti noi che eravamo allo stadio, stasera, tutti, in qualsiasi settore ci trovassimo, abbiamo qualcosa che ci unirà per sempre, l’aver ascoltato tutti in piedi e con gli occhi lucidi quella musichetta che inneggia a dei campioni e l’esserci forse sentiti tutti almeno una volta dei perdenti. Ma i perdenti, si sa, hanno sempre una marcia in più: hanno fame. Magari non arrivano da nessuna parte, ma hanno una dannata fame. E spesso, quando non sono così ottusi da deporre le armi se non hanno nulla da mangiare, hanno una cosa ancora più grande, la consapevolezza, la determinazione, l’integrità della scelta. Un’immagine di bellezza, senza dubbio.
Siamo stati tutti uguali, stasera, anche chi giocava in campo per vincere contro quelle maglie gialle che dal primo istante mi hanno ricordato il Chievo. Abbiamo tutti deciso di essere lì, tanto per cominciare, di esserci con i piedi, le gambe, i capelli, le mani, le orecchie, gli occhi, i capelli, il cuore, lo stomaco e la testa. Abbiamo sentito tutti lo stesso vento di settembre scompigliarci i capelli. Abbiamo visto tutti quei milioni di flash che immortalavano un momento di straordinaria e pura bellezza. Perché quel telone pieno di stelle è molto più di quanto un telescopio possa regalarci in una notte intera a guardare il cielo col naso all’insù. Lì dentro, stasera, c’era tutto un mondo. Sì, lo so che molti di noi non baratterebbero mai il campionato per la Champions, ma io, di questa giornata, mi porto dentro l’immagine di una bellezza autentica. Non è stata una cosa qualunque. Non lo sarà mai. Preoccupata per domani, certo, preoccupata per l’Inter. Ma non avrei mai rinunciato alla possibilità di ascoltare quella musichetta lì. Mai. E Forza Napoli. Sempre.

di Ilaria Puglia

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