Araújo e il bullismo emotivo: la tortura oggi viaggia su Instagram, TikTok, Snapchat, WhatsApp, Signal e Telegram

Il giocatore del Barcellona si è preso una pausa, El Paìs richiama l'attenzione su un tema sottovalutato: i social sono pervasivi e fanno danni enormi

Araujo

Mg Milano 06/05/2025 - Champions League / Inter-Barcellona / foto Matteo Gribaudi/Image Sport nella foto: Ronald Araujo

Araújo e il bullismo emotivo: sui social non c’è più tregua è una tortura continua (El Paìs)

In molti se lo ricordano, come un trauma. Il 22 giugno 1994 Andrés Escobar fece un autogol mentre la sua Colombia si faceva eliminare dalle fase a gironi del Mondiale negli Stati Uniti. “Mamma, uccideranno lo zio Andrés”, disse quel giorno il nipote di 10 anni, guardando la tv. Dieci giorni dopo, nel parcheggio di un ristorante alla periferia di Medellín, un sicario gli sparò sei colpi alla testa. “Erano tempi violenti – scrive El Paìs – Oggi nessuno uccide nessuno per una cosa del genere. O almeno non in quel modo”.

Il giornale spagnolo parla del caso di Ronald Araújo. Il giocatore del Barcellona ha chiesto una pausa, deve riprendersi perché non ne può più del bullismo emotivo di cui è ormai vittima. Sta succedendo ad Araújo, scrive il Paìs, “ma sta succedendo anche a noi, o ai nostri figli, perché lo spettro di quella punizione sadica e anonima per il fallimento è ormai una realtà 24 ore su 24, 7 giorni su 7″.

“Prima, la tortura veniva interrotta per respirare, per prendere le distanze. Anche solo perché l’altra persona era esausta. Anche picchiare è faticoso. Proprio mentre la campanella suonava alle cinque del pomeriggio e i bambini potevano lasciarsi alle spalle la paura, la sofferenza e il bullo alto un metro e mezzo che li tormentava a scuola, i giocatori hanno tirato un sospiro di sollievo quando l’arbitro ha fischiato la fine e la raffica di insulti come “frocio”, “negro”, è finalmente finita, come sta succedendo ora a Lamine Yamal, che canalizza il 60% degli insulti razzisti sui social media. Prima leggevano recensioni professionali, articoli di opinione incendiari. Ora si svegliano nel cuore della notte con un esercito di troll che gli gettano sale sulla ferita, insultandoli, umiliandoli, descrivendo il loro QI, il colore della loro pelle. E l’algoritmo ripete l’immagine del secondo cartellino giallo, l’errore sul fallo, in un loop infinito, come quelle luci stroboscopiche nelle discoteche capaci di scatenare una crisi epilettica”.

Il caso Araujo, ovvero la tortura oggi viaggia su Instagram, TikTok, Snapchat, WhatsApp, Signal e Telegram

“Araújo ha detto ad alta voce che deve smetterla. Perché la salute mentale è una processione silenziosa. Nessuno se ne accorge”. La tortura adesso viaggia su Instagram, TikTok, Snapchat, WhatsApp, Signal e Telegram. La Francia ha avviato una crociata per vietare i social media ai minori di 15 anni. Mira anche a etichettare i media affidabili e a distinguerli dai divulgatori di disinformazione e odio (e questi ultimi hanno già protestato). Perché il calvario a volte si estende oltre l’adolescenza. Chi lo fa la fa franca, mentre chi denigra gli altri in forma anonima lo considera parte del lavoro. Álvaro Morata è quasi caduto in depressione. “Non ho attraversato una depressione conclamata, ma ci sono andato vicino”, ha ammesso qualche anno fa. Ana Peleteiro è stata oggetto di una raffica di insulti razzisti per un commento su X. Lo stesso è successo alla giovane ginnasta russa Yana Kudriavtseva. Che si fermino per tutto il tempo necessario”.

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