La Coppa Davis non interessa a nessuno: c’è solo un top ten a giocarla e tre dei primi venti tennisti al mondo (Libero)
È Zverev l'unico top ten nelle prime otto squadre. L'errore fu di Piqué che volle trasformare la Davis in una kermesse americana

Malaga (Spagna) 26/11/2023 - finale Coppa Davis / foto Imago/Image Sport nella foto: Jannik Sinner ONLY ITALY
Prima l’eliminazione della Serbia di Novak Djokovic e di altre squadre altisonanti (pensiamo a Canada, Australia e Stati Uniti). Poi i forfait di Jannik Sinner, Lorenzo Musetti e Carlos Alcaraz. Quella appena cominciata si prospetta un’edizione di Coppa Davis molto sottotono. Basti pensare che scorrendo i convocati della varie squadre c’è solo un giocatore della top-10 del ranking Atp, tre se allarghiamo il discorso ai primi 20 della classifica.
Zverev: «Questo torneo non ha nulla a che vedere con la Coppa Davis»
Un tempo la Coppa Davis equivaleva al Mondiale di calcio, era una delle manifestazioni più prestigiose della stagione. Oggi, complici diversi motivi (tra cui cervellotici e continui cambi di format) è diventata quasi un torneo di esibizione.
Un concetto sottolineato anche da Alexander Zverev – a proposito, è lui l’unico top-10 in gara – in una recente intervista concessa alle Atp Finals. «Per me la vera Coppa Davis è quella delle eliminatorie in casa e in trasferta (…) La vera Coppa Davis è quella che crea un’atmosfera incredibile, penso a quando giocherò contro l’Italia in Italia e so che sarà completamente diverso dal giocare contro l’Italia in Spagna, per esempio. Ho giocato contro Nadal in un’arena, quella per me è la vera Coppa Davis. Rimango della mia opinione, l’ho sempre detto in questi ultimi due anni, non credo che questa sia la vera Coppa Davis, è solo un torneo di esibizione che si chiama Coppa Davis. La giocherò per i miei compagni di squadra e i miei colleghi tedeschi mi hanno chiesto di giocare, ma questo non ha nulla a che vedere con la Coppa Davis», ha sottolineato il tedesco.
L’affondo di Libero
Sull’argomento si è soffermata anche l’edizione odierna di “Libero” con un pezzo a cura di Leonardo Iannacci.
“C’era una volta la Coppa Davis. Non è l’inizio di una bella favola ma quello di un triste racconto sulla distruzione di una delle competizioni sportive più belle e gloriose, ideata nel lontanissimo 1899 da Dwight Davis, un tennista americano che diede vita al mito dell’insalatiera d’argento. Ebbene, 126 anni dopo, la vera Davis non esiste più, cancellata da scelte sbagliate e masochistiche e la riprova l’abbiamo in questi giorni qui a Bologna dove ciò che resta di questa epica manifestazione sta esalando l’ultimo respiro. Chiamateci boomer, passatisti o semplici nostalgici ma questa non ha nulla in comune con la carissima Davis che ci faceva sobbalzare dalla sedia nei bei dì”, si legge sul quotidiano.
Che poi ripercorre le tappe del disastro: “Le colpa è degli spagnoli (…) Perché dal 2019 tutto è stato modificato da un’organizzazione con radici iberiche, la Kosmos, nella quale l’ex difensore del Barca, Gerard Piqué, era un pezzo grosso. L’idea sbagliata fu quello di trasformare la Davis, da sempre giocata su quattro singolari e un doppio, in una sorte di kermesse all’americana. Tutto è stato condensato in una sola giornata con due soli singolari e il doppio, ma al meglio dei tre set e non dei cinque. Le finali con otto nazionali, poi, sono state fissate al termine della stagione richiamando in campo tennisti sfiniti dopo un’annata durissima e desiderosi solo di una spiaggia delle Maldive. O, magari, dopo undici mesi di viaggi infiniti per i tornei nel mondo, vogliosi di starsene divanati a casa, con mogli e figli”.
C’era una volta la Coppa Davis
A questo punto, Libero sviscera le statistiche sopracitate in merito alla cifra tecnica dei partecipanti. Poi spezza un lancia in favore di Sinner e ricorda le critiche di addetti ai lavori come Panatta e Bertolucci nei confronti del format. Infine, conclude riproponendo le parole di Zverev (“gioco soltanto per il mio Paese”) e a queste aggiunge:
“Tutto tristemente vero: nel 1976 l’Italia si fermava un intero week-end per seguire cosa avrebbero combinato i moschettieri azzurri, Panattone in testa, campioni che di Davis ne vinsero una in Cile perdendone altre tre soltanto perché giocarono le finali in trasferta (in Australia contro Toni Roche, negli Stati Uniti contro McEnroe e a Praga contro Lendl) e non nell’amato Foro Italico. C’era una volta la Coppa Davis. E non è certo una bella favola”.










