Cesari: «Non ricordo la voce di Maradona, lo picchiavano e non diceva una parola»
Alla Gazzetta: "I grandi non hanno bisogno di protestare, basta uno sguardo. Casarin mi voleva pallido, mi puniva per l'abbronzatura. Il Var? Magari l'avessi avuto ai miei tempi"

Db Milano 17/05/2010 - Derby della Madonnina / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Graziano Cesari
Graziano Cesari, l’arbitro (e poi ex arbitro-commentatore) più abbronzato della storia arbitrale, divenne arbitro per non ingrassare. “Era il 1974, vidi il manifesto che invitava a diventare arbitri e mi dissi che poteva essere un modo per combattere la mia tendenza a ingrassare”, racconta alla Gazzetta.
“Ero diventato magrissimo… Quando arrivai in Serie C, mi dissi che valeva la pena di provarci, sentivo che sarebbe potuto diventare il mio vero lavoro. Lo so che gli arbitri non sono professionisti, ma i rimborsi erano buoni e i miei mi hanno aiutato. Il resto lo ha fatto Paolo Casarin: gli devo tutto, lo considero un secondo padre. Mi ha insegnato che un arbitro deve essere equo, di un’equità giusta. Mi diceva le cose in faccia. A volte esageravo e mi puniva“.
Casarin “durante i ritiri estivi a Sportilia, si incavolava di brutto perché, finito di mangiare, mi trasferivo sul piazzale a prendere il sole. Casarin mi voleva pallido, ma io per lui sarei buttato nel fuoco”.
Il giocatore che la faceva arrabbiare di più? “Posso dire questo: non ho ricordi delle voci di Zidane, di Figo, di Baggio, di Van Basten, di Maradona… I grandi non si lamentano, al massimo rivolgono all’arbitro uno sguardo”.
“Ho arbitrato la partita che costò a Maradona la squalifica per doping e l’addio all’Italia, Napoli-Bari 1-0 il 17 marzo 1991. Arrivo allo stadio, il magazziniere mi offre il caffé e, mentre lo bevo, si palesa Diego. Indossa dei mocassini tremendi, con dei fiocchetti. Qualcuno gli lancia un pallina da ping pong e lui comincia a palleggiarci con una naturalezza sconvolgente. Joao Paulo, il brasiliano del Bari, si avvicina e mi fa: ‘Ma che c… gioco a fare io?’. E Joao Paulo non era scarso. Diego in campo veniva picchiato: mai un lamento”.
E il Var? “L’avrei benedetto. Non dico che sia la panacea di tutti i mali, però un salvagente fondamentale e non se ne può più fare a meno. Noi eravamo in tre, arbitro e due assistenti, oggi sono una squadra tra campo e sala Var. I benefici veri li vedremo con la nuova generazione di arbitri: Zufferli, Marcenaro, Bonacina sono cresciuti con il Var. Detto questo, per fare l’arbitro servono coraggio, personalità e una buona dose di narcisismo”.
“Il Var a chiamata mi intriga tanto, perché coinvolge tutti. Introdurrei il tempo effettivo tipo basket, non è ammissibile che certe partite abbiano una durata reale di 45 minuti. Leverei l’immunità per le braccia sul fuorigioco. Le braccia servono per correre, sono attive”.











