De Jong: «C’era gente nel Barcellona che voleva vendermi per fare cassa»
A El Paìs: «Nel calcio è meglio non dire sempre la verità, può crearti solo problemi. Siamo calciatori, non leader d'opinione, non ho abbastanza informazioni per parlare di politica. Il mio stipendio non ha aiutato il giudizio su di me»

Db Milano 06/05/2025 - Champions League / Inter-Barcellona / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Frenkie de Jong-Lautaro Martinez
Frankie De Jong, centrocampista del Barcellona e della nazionale olandese, ha rilasciato una lunga intervista esclusiva ai microfoni di El Paìs. Di seguito l’intervento nei suoi estratti più significativi.
De Jong: «Mi volevano fuori dal Barcellona per fare cassa»
Ha paura di lasciare Barcellona?
«Come posso spiegarlo? Ho sempre avuto chiaro che volevo restare al Barcellona. Sono sempre stato felice, con la squadra, con il giocare qui. C’è stato un periodo in cui c’era più pressione, come anche un altro momento in cui c’era gente nel club che voleva vendermi per fare cassa. Credo che fosse nell’estate del 2023 o del 2022, ora non lo ricordo bene.»
Come ha vissuto quel periodo?
«A un certo punto, potevo anche capirli. Il club stava attraversando un momento economico difficile e io ero un giocatore con mercato. Ma per me era chiaro: volevo restare al Barcellona. E avevo fiducia che, se stavo bene, avrei giocato. È sempre stato così. Alla fine, quando hai un contratto, se decidi di restare, resti. Per questo non avevo paura.»
Messi e Lamine dicono sempre che il bravo è lei. Allora perché c’è gente che dice che gioca male? La gente non capisce di calcio o lei non sa vendersi?
«C’è un po’ di tutto. La cosa bella del calcio è che ognuno può avere la propria opinione. C’è gente che pensa che Leo non sia il migliore… Non puoi convincere tutti. Nel mio caso, credo almeno di sapere giocare a calcio. È vero che molti compagni e allenatori hanno sempre detto che, se c’è un giocatore sottovalutato, quello sono io.»
Si ricorda come glielo ha detto Leo?
«Non è che un giorno è venuto a colazione e mi ha detto: “Sei fortissimo”. Non è successo così. Ma non voglio parlarne troppo perché a Leo non piace quando si rendono pubbliche conversazioni private. Ma, tornando a quello di cui parlavamo, credo che il mio gioco sia difficile da valutare perché non segno molti gol e nemmeno do molti assist. E oggi la gente guarda molto alle statistiche. Inoltre, tengo spesso il pallone. A volte lo tengo più a lungo di altri giocatori. Non gioco sempre a uno o due tocchi. A volte sì, ma dipende dal momento.»
Pensare prima della velocità.
«L’importante non è giocare velocemente, ma pensare velocemente. E, tornando alla domanda sul perché c’è chi pensa che giochi male o non così bene, credo che quello che non mi ha aiutato molto sia la questione dello stipendio. La gente ti vede come il giocatore più pagato d’Europa e non si concentra più sul gioco. È più rabbia: “Questo guadagna tanto… deve andarsene”.»
Era consapevole che il problema non era la stampa, giusto?
«Credo che, in parte, sì lo fosse. Mi possono dire che ricevono le informazioni da dentro il club. Ok, ma alla fine sono loro che scrivono la notizia. Per esempio, se la Bbc dice che Frenkie guadagna 40 milioni all’anno, è loro responsabilità che l’informazione sia veritiera. E quando qualcosa non è vero, come in questo caso, mi sento in diritto di attaccarli: hanno pubblicato qualcosa di falso. Ma so anche come funziona questo ambiente.»
Come funziona?
«So che c’è qualcuno nel club che dice: “Mettete pressione a Frenkie perché vogliamo venderlo quest’estate”. Ma devi verificare se l’informazione è corretta o no. E se non l’hai verificata, allora scrivi un articolo d’opinione. Dici che Frenkie deve andarsene perché non ha reso come doveva. Questa è un’opinione. Ma se pubblichi cifre false, secondo me sbagli.»
Non sempre è positivo dire la verità?
«Può creare conflitti con compagni o con il club. Non aiuta nessuno. Per la gente può essere divertente, ma per lo spogliatoio no. Per esempio, se c’è un problema nello spogliatoio, si può dire la verità lì dentro, e va bene, ma se esce diventa un problema più grande. Allora, invece di avere un solo problema nello spogliatoio, ce l’hai ovunque.»
Non pensa che ci siano casi in cui è necessario parlare? Per esempio, nel caso della Palestina.
«I calciatori hanno la piattaforma per raggiungere molta gente, ma questo non li rende leader d’opinione. Ovviamente ognuno può dire ciò che vuole. Nel caso della Palestina, di cui mi parla, io conosco la situazione. Posso parlarne con i miei amici. Ma non ho abbastanza informazioni per parlarne pubblicamente.»
Perché si dice che questo spogliatoio non ha carattere?
«È un cambio di epoca. Veniamo da una generazione di calciatori che erano diventati leggende e ora sta cambiando tutto. Ora ci sono molti giovani, persone che non hanno ancora vinto molto. Quindi sembra che non ci sia carattere. Ma una buona domanda è: che cos’è il carattere, no?»
E che cos’è?
«La gente confonde il leader con chi urla molto, si arrabbia, fa gesti o rimprovera i compagni. Ma io penso che le persone con carattere siano quelle che restano fedeli ai propri valori. Persone oneste, che aiutano i compagni. Non serve urlare per essere un leader. Anzi, quando urli troppo, la gente smette di ascoltarti. Bisogna sapere parlare al momento giusto.»
Flick è così?
«Sì. Flick ha carattere. Ha le idee molto chiare, è vicino alla gente ed è gentile. Ma poi devi fare ciò che devi fare. E se non lo fai, non giochi.»
Ora è capitano: come si gestisce un giocatore come Lamine Yamal?
«Lamine deve fare nella sua vita ciò che crede giusto. Non devo gestirlo io, non sono la persona adatta per dirgli dove deve andare a mangiare. La mia responsabilità è aiutarlo in campo. E lì lo fa bene, durante le partite e gli allenamenti. Se continua così, non mi importa cosa faccia fuori dal campo.»