La pallanuoto ha abolito il pareggio: se finisce X, si va ai rigori e chi vince prende 2 punti anziché 3

Oggi comincia il campionato. Vincerà il Recco. Per il resto vasca da 25 metri per rendere le partite più veloci e niente segno X

Pallanuoto Campagna

Parigi (Francia) 28/07/2024 - Olimpiadi Parigi 2024 / pallanuoto / Italia-Usa / foto Image Sport nella foto: Sandro Campagna

Addio al pareggio nella pallanuoto. Le regole sono cambiate: Vasca da 25 metri e punteggio modificato. Si vince (3 punti), si perde (0 punti). Si pareggia e si va ai rigori (2 punti a chi vince, 1 a chi perde). La pallanuoto cambia per essere più spettacolare, velocizzare i cambiamenti di fronte e garantire più gol. Quello che non cambia è chi vincerà il campionato: il Recco. Hai voglia a cambiare i regolamenti, ma quelli dipendono dalla federazione mondiale. Gli investimenti saranno sempre gli stessi per uno sport di cui ci si interessa solo alle Olimpiadi ricordando i fratelli Porzio, Rudic ed i tempi che furono. Addio al pareggio. Gli sport cambiano per esigenze televisive. La pallavolo ha rivoluzionato se stessa. Ricordate quando per fare un punto bisognava avere la battuta? Set estenuanti, partite infinite. E le partite di tennis infinite?. Beh, il pareggi non piace più a nessuno.

Appartiene a un tempo quasi cavalleresco. Un modo per dire: “oggi nessuno è stato più forte, ma nessuno ha ceduto”. Il pareggio era un punto d’equilibrio, una tregua dentro la battaglia. Oggi invece è diventato un’anomalia, un fastidio televisivo da eliminare. Lo sport contemporaneo non vuole sospensioni: pretende un vincitore, subito, sempre. E così, uno dopo l’altro, i regolamenti si sono piegati allo spettacolo.

La storia dell’abolizione del pareggio che oggi la pallanuoto rinnega

Nel calcio resiste, ma a fatica. Oggi si tende a passare dai tempi regolamentari ai rigori per decidere il vincitore. Senza passare da altri 30′ di gioco. Il basket lo ha bandito già nel 1946: l’Nba nacque con la certezza che nessuna partita dovesse finire “in sospeso”. L’America non sopporta il dubbio, e inventò l’overtime per chiudere i conti. Il tennis lo seguì pochi decenni dopo: nel 1970 arrivò il tie-break, voluto da James Van Alen per rendere le partite più brevi, più televisive, più “comprensibili”. Il fascino dei set infiniti e dei pomeriggi interminabili di Wimbledon divenne un ricordo da museo.

Persino gli sport più tradizionali si sono arresi. La Nel introdusse i tempi supplementari nel 1974, poi li modificò più volte per garantire che qualcuno, alla fine, potesse esultare. L’hockey su ghiaccio, da sempre patria dell’equilibrio, dal 2005 decide le partite ai rigori. E il cricket, sport per eccellenza dell’attesa e della parità, ha inventato versioni brevi e frenetiche dove il draw è bandito. Tutto deve concludersi, possibilmente in prima serata.

La motivazione è chiara: la televisione, poi le piattaforme. Il tempo del pubblico non è più infinito, e lo sport si adatta al ritmo dei social e delle app. Se pensiamo che nei bandi televisivi si paga di più per gli highlights che per le partite intere ce ne faremo una ragione. Il pareggio non interessa a nessuno.

A forza di eliminare il pareggio, forse stiamo perdendo qualcos’altro: il dibattito, la discussione, il gusto del se…. Un tempo il pareggio lasciava spazio alla riflessione, oggi serve solo a generare commenti infuriati.

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