Conte in un anno ha distrutto le certezze dell’Inter: lo psicodramma di oggi è figlio delle sconfitte di ieri

Un anno fa, gli Inzaghi's erano considerati ingiocabili. Il maledetto ex li ha lavorati ai fianchi: dal Var, allo scudetto scippato. Oggi l'Inter è una band alla deriva, dove impera il tutti contro tutti

Conte

Napoli's Italian coach Antonio Conte is thrown in the air by his players as they celebrate after winning Italian Serie A football match between Napoli and Cagliari at the Diego Armando Maradona stadium in Naples on May 23, 2025. (Photo by Carlo Hermann / AFP)

Conte in un anno ha distrutto le certezze dell’Inter: lo psicodramma di oggi è figlio delle sconfitte di ieri

La voragine nerazzurra

Nel momento esatto in cui Lautaro Martínez ha attaccato duramente alcuni dei suoi compagni di squadra, senza fare nomi, si sono chiusi un bel po’ di cerchi. Poco dopo, nel momento esatto in cui Giuseppe Marotta ha chiarito che uno di quei compagni era Hakan Cahlanoglu, si è aperta un’enorme voragine. E così l’Inter è praticamente implosa, ancora prima dell’ulteriore caos generato dal post dello stesso Calhanoglu, dei like tattici di alcuni compagni di squadra. È giusto parlare in questi termini, diciamo pure apocalittici, per due motivi fondamentali. Motivo numero uno: poche volte si era visto un capitano scagliarsi così verso il gruppo che rappresenta. Motivo numero due: pochissime volte, forse nessuna, il presidente di una squadra di calcio di primo livello è andato dietro un attacco del genere, finendo addirittura per fare nomi e cognomi.

Chi legge Il Napolista lo sa: su questo sito è praticamente vietato credere alla retorica del gruppo, quella per cui le grandi squadre di calcio, anche e soprattutto quelle che vincano, sono necessariamente animate da una grande unità. Può essere così, certo. Ma molto spesso non è così, tutt’altro. All’Inter, però, è evidente che ci fosse – e che ci sia – qualcosa di più profondo, di più grave, rispetto a un disaccordo costruttivo tra alcuni giocatori, tra giocatori e società, tra società e staff tecnico: uno smantellamento così improvviso e così totale è solo l’ultimo atto di una crisi inevitabilmente più estesa, che da tempo covava sotto la cenere. E che alla fine è detonata anche grazie al lavoro fatto, più o meno indirettamente, da un altro agente del caos che lavora molto lontano da Milano e dalla Pinetina: Antonio Conte, l’allenatore del Napoli.

L’odore della paura

Più o meno un anno fa, alla vigilia del campionato di Serie A 2024/25, la lotta per lo scudetto veniva presentata come una caccia alla volpe: l’Inter di Simone Inzaghi era appunto la volpe, poi c’erano alcune squadre che venivano indicate come possibili inseguitrici – ma solo se la volpe non fosse riuscita a scappare come ci si aspettava. C’erano la Juventus e il Milan, quasi immediatamente fuori dalla corsa a causa di scelte infelici – per usare un eufemismo – in merito agli allenatori. C’era l’Atalanta di Gasperini, candidata al salto di qualità dopo la vittoria dell’Europa League. E c’era il Napoli di Conte, ma solo perché l’allenatore era proprio Conte (che, per altro, guidava una squadra non qualificata alle coppe europee).

Già in questo passaggio si percepisce il lavoro fatto da Conte. Con pochissimi altri tecnici in panchina, forse nessuno tra quelli in attività e disponibili sul mercato, una squadra reduce da un decimo posto sarebbe stata inserita in un’ideale griglia per lo scudetto. E invece un anno fa, di questi tempi, bastò solo la presenza di Conte – che nella Milano nerazzurra rievocava ricordi molto dolci e molto amari – per mettere pressione all’Inter. Perché Simone Inzaghi e i suoi giocatori sentissero l’odore della paura.

Adesso, visto com’è andata a finire la stagione, nessuno ricorda che l’Inter iniziò il campionato 2024/25 con un pareggio a Genova, un altro pareggio a Monza e una sconfitta nel derby nelle prime cinque giornate. Sette punti persi, tutti negli ultimi minuti di gioco. Nel frattempo, il Napoli di Conte aveva già messo insieme dieci punti, due in più dei nerazzurri, nonostante l’esordio da incubo a Verona e lo 0-0 in casa della Juventus.

L’inizio della demolizione

Poi è chiaro, l’Inter di Simone Inzaghi non può essere ridimensionata ex-post, non così tanto: era un’ottima squadra, dopo l’inizio balbettante mise insieme sei vittorie e due pareggi in otto partite di campionato, ipotecò la qualificazione agli ottavi di Champions League e di fatto si riprese il titolo di favorita. Solo che nel frattempo il Napoli aveva continuato a vincere. Anzi: a non perdere.

Proprio un pareggio, quello nello scontro diretto a San Siro, segnò l’inizio della demolizione vera e propria. Una demolizione iniziata sul campo, attraverso un pareggio tutto sommato giusto anche se maturato grazie a un rigore che Calhanoglu tirò sul palo a un quarto d’ora dalla fine. Una demolizione che si riverberò anche fuori dal campo, proprio sfruttando gli strascichi lasciati dal rigore poi fallito da Cahlanoglu: le frasi del tecnico azzurro sul mancato intervento del Var furono un chiaro ed evidente tentativo di gettare benzina su un tizzone, quello del duello-scudetto, che in realtà non era stato ancora acceso. Non a caso, viene da dire, un articolo di Giovanni Capuano su Panorama definì quello sfogo con queste parole: «Strategia e nulla più di un tecnico che sta preparando la campagna di inverno consapevole di poter puntare al montepremi massimo, lo scudetto, e dunque pronto a mettere in campo tutte le armi».

Nelle ore e poi nelle settimane successive alla gara di San Siro, la risposta di Inzaghi e le infinite polemiche accessorie intasarono i giornali e i social. Esattamente quello che voleva Conte, abilissimo a non esprimersi/esporsi più sugli arbitri fino alle ultimissime battute del campionato. Quando ormai l’Inter di Inzaghi era stata cotta a puntino.

La nobiltà della stagione dell’Inter

Da dicembre in poi, anche per “merito” della classica campagna sensazionalistica portata avanti da giornali e televisioni, il sistema-calcio italiano ha iniziato a parlare dell’Inter come di una squadra potenzialmente in grado di vincere tutto. Di bissare lo storico Triplete del 2010. Scudetto, Coppa Italia e Champions League. In alcuni momenti tra dicembre e dicembre 2024 e gennaio 2025, effettivamente, i nerazzurri diedero l’impressione di essere una squadra molto molto forte. Si pensi, in questo senso, al terrificante 0-6 inflitto alla Lazio di Baroni in un Olimpico annichilito e silente. La (ri)conquista del primo posto in classifica, ovvero il sorpasso sul Napoli, si colloca esattamente alla fine di quel ciclo di partite: 26esimo turno, Como-Napoli 2-1 e Inter-Genoa 1-0. Nerazzurri primi alla vigilia dello scontro diretto al Maradona.

A questo punto è doveroso fare una piccola digressione sulla nobiltà della stagione dell’Inter. Su quanto sia stato giusto, su quanto sia stato bello, proprio dal punto di vista etico, che Simone Inzaghi e i suoi calciatori abbiano fatto il possibile – e anche di più – per arrivare in fondo a tutte le competizioni. Alla fine la scelta non ha pagato, gli albi d’oro dicono che i nerazzurri hanno chiuso la stagione senza trofei. Ma ridurre un’intera annata sportiva – e quindi il calcio in senso lato – alla conta dei titoli è un esercizio troppo facile. Come tutte le cose superficiali. E allora forse bisognerebbe andare un attimo a rivalutare la scelta fatta dall’Inter, gli sforzi profusi da allenatore e giocatori. Per dirla brutalmente: i rimpianti finali restano enormi, cocenti. Ma non possono cancellare le notti indimenticabili vissute dai nerazzurri contro Bayern e Barcellona.

Il segno di Philip

Il punto, però, è che anche Antonio Conte e i giocatori del Napoli hanno fatto un lavoro straordinario. Perché, una settimana dopo essere andati a -1 dall’Inter, sono stati a -4 per un’ampia porzione della sfida scudetto. Poi però sono riusciti a pareggiare, a vanificare quello che era il programma dell’Inter: vincere al Maradona e poi (mettersi a) gestire i quattro punti di margine fino alla fine del campionato. Il gol nel finale di Philip Billing, più che meritato visto l’andamento della ripresa, è stato un boost enorme per l’autostima degli azzurri. Lo stesso Conte, dopo aver vinto lo scudetto, ha dichiarato che quel gol «ci ha dato la sensazione che avremmo potuto vincere il campionato».

E in effetti quella rete ha cambiato tutto: la situazione di classifica, le percezioni intorno al Napoli e al duello-scudetto, la consapevolezza dell’Inter. Che, guardando alle gare successive, è andata sotto di due gol in casa col Monza prima di rimettere le cose a posto, ha vinto con autorità a Bergamo ma poi ha rischiato di subire un’incredibile rimonta interna contro l’Udinese, ha effettivamente subito una rimonta clamorosa in casa del Parma (da 0-2 a 2-2) ed è arrivata a Pasqua senza un briciolo di energia, anche per via della grande corsa in Champions: 0-1 a Bologna e stesso risultato a San Siro contro la Roma. Il Napoli di Conte si è appaiato ai nerazzurri e poi ha operato il sorpasso proprio a cavallo di quella settimana. Il resto, come si dice in certi casi, è storia. Storia recente.

Quanto può pesare una sconfitta

Il 2-2 di Inter-Lazio deve essere considerata come una fotografia polaroid dell’ultimissima Inter di Simone Inzaghi, una squadra che ormai si teneva insieme solo grazie alle fasciature dei suoi stessi nervi. Non perché non fosse forte o fosse meno forte rispetto a quanto credevano/credevamo tutti, ma perché era una squadra stremata. Da una stagione faticosissima e da un ciclo che, di fatto, si era già esaurito.

In questo senso il peso dello scudetto perso è stato gigantesco. Se i nerazzurri avessero ripreso e ri-sorpassato il Napoli, tutto ciò che è avvenuto dopo l’ultima giornata di campionato avrebbe avuto un altro sapore, un altro impatto. Forse suonerebbe esagerato dire che una sconfitta come quella rimediata contro il Psg sarebbe passata in cavalleria, ma di certo sarebbe stata accolta e metabolizzata in maniera diversa. Meno drammatica. E invece le scorie di un’altra sconfitta, quella domestica, insieme a tutte le cose emerse nei giorni della finale di Monaco, prima tra tutte l’abboccamento tra Simone Inzaghi e l’Al-Hilal, hanno finito per avvelenare l’intero pozzo. Come in un effetto-domino: una volta caduta la prima tessera, non c’è modo di tenere in piedi le altre.

È qui, in questo punto, che Antonio Conte diventa protagonista. È chiaro, il discorso sarebbe valso con qualsiasi altra squadra, non solo con l’Inter. Ma resta il fatto che l’attuale crisi nerazzurra – Inzaghi che va in Arabia Saudita, Marotta che parla di «momento difficile e inatteso» dopo l’addio del tecnico, la veloce staffetta con Chivu in vista del Mondiale per Club, le tensioni manifeste tra giocatori, Marotta che lava i panni sporchi davanti ai microfoni – sia diventata travolgente, una vera e propria slavina, nel momento in cui Conte ha “rubato” lo scudetto alla sua ex squadra. Quando, cioè. le ha tolto ciò che restava – anche se poco o niente – della sua serenità. Della sua aura.

I conti che si è fatto Conte

Come detto all’inizio parlando delle griglie scudetto di un anno fa, un’impresa del genere sarebbe potuta riuscire a pochissimi altri allenatori. Forse solo ad Antonio Conte, tra quelli ancora in attività e disponibili sul mercato. E allora l’attuale allenatore del Napoli va applaudito anche per l’intelligenza, intesa come tempismo, con cui ha scelto di accettare l’offerta di De Laurentiis. Non nel bel mezzo della stagione 2023/24, quando la squadra azzurra era palesemente allo sbando, ma nell’estate successiva. A bocce ferme. Quando l’Inter di Inzaghi era reduce dallo scudetto della stella, ma era anche un anno più vicina alla fine del suo ciclo.

Saper sfruttare certi momenti e certe vibes, come si definiscono al giorno d’oggi le percezioni extrasensoriali, è una dote fondamentale. Ma ancora più importanti, nell’economia dello scudetto vinto dal Napoli, sono stati i conti che si è fatto Conte: l’Inter era nella condizione da farsi impaurire dalla sua semplice presenza. E poi è come se si fosse consegnata – involontariamente, si intende – al gioco del suo ex allenatore. Fino al punto da autodistruggersi, come dimostra l’andamento delle ultime settimane.

E se è complicato credere che Antonio Conte non sapesse tutto questo al momento del suo arrivo a Napoli, è impossibile non pensare che abbia lavorato proprio in questo senso. Un po’ come nella boxe: spesso i colpi che indirizzano gli incontri non sono quelli sferrati al volto, ma quelli ai fianchi e al corpo. Quelli che tolgono il fiato. Ecco, Conte ne ha dati un bel po’, all’Inter e al suo progetto. Forse indirettamente, forse da lontano, ma la sostanza non cambia.

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