Murray: «I campioni non si divertono. I giocatori di livello inferiore ridono e scherzano, e infatti restano inferiori»

"Non sarà un problema se Djokovic dovesse arrabbiarsi con me, in campo. Lo facevo anche io. I tennisti devono sfogarsi"

Murray

Britain's Andy Murray reacts during the men's singles match between Britain's Andy Murray and France's Gilles Simon on day one of the ATP World Tour Masters 1000 - Paris Masters (Paris Bercy) - indoor tennis tournament at The AccorHotels Arena in Paris on October 31, 2022. (Photo by Christophe ARCHAMBAULT / AFP)

Dice Andy Murray che non è un problema se Novak Djokovic gli si dovesse rivoltare contro, mentre gioca. C’è passato pure lui, figurarsi.  Nella sua prima intervista dopo la sua nomina a coach del più vincente tennista di sempre (nonché ex rivale), Murray ha detto ai giornalisti che è meglio liberare le emozioni piuttosto che reprimerle.

“Per molti versi, siamo personaggi molto simili”, ha detto. “So che non è facile là fuori, ed è stressante, e a volte vorrà sfogarsi con la sua squadra e il suo angolo. Penso che si debba stare molto attenti con i giocatori emotivi. A volte reprimere tutto non è la strada giusta. Ho avuto esperienze del genere come giocatore e ho osservato altri giocatori. La descrizione spesso di come appaiono i giocatori in quei momenti è che sembrano piatti”.

Murray non è mai banale quando parla. Gli hanno chiesto se si sta divertendo in questo nuovo ruolo: “A volte è molto piacevole. Ma le prestazioni elevate non dovrebbero essere risate e scherzi. Non ho visto questo da nessuno dei migliori giocatori al mondo. L’ho visto da alcuni dei giocatori di livello inferiore, ed è uno dei motivi per cui erano inferiori”.

“I giocatori migliori prendono tutto molto sul serio e vogliono migliorare, e non è sempre facile. È impegnativo, ma è estremamente gratificante quando fai una svolta in un allenamento e qualcosa inizia a andare un po’ meglio”.

Murray racconta anche come gli è arrivata la proposta: “Stavo giocando a golf e ci stavamo scambiando messaggi. Novak mi aveva mandato un messaggio, voleva solo chiacchierare. Era appena prima di Shanghai. Poi alla fine, ero alla 17a buca del campo da golf e il ragazzo con cui stavo giocando mi ha detto, ‘hai in programma di fare un po’ di coaching?’ E io ho detto, ‘Sinceramente, non mi viene in mente niente di peggio da fare in questo momento’. E poi 30 minuti dopo, ero in macchina e ho chiamato Novak, e lui mi ha chiesto se fossi interessato ad aiutarlo, cosa che ovviamente non mi aspettavo. Gli ho detto, ‘Guarda, devo pensarci e parlare con la mia famiglia’. Così ho parlato con loro, e dopo un paio di giorni, ho pensato che fosse un’opportunità e un’esperienza piuttosto uniche. E ho pensato che sarebbe stata una buona idea provarci insieme, e trascorrere un po’ di tempo fuori stagione in Australia e vedere come va per entrambi, perché è un po’ diverso. Non è il solito tipo di configurazione. Quindi aveva senso provarci e vedere se funziona. E poi abbiamo detto che avremmo preso una decisione più definitiva dopo il torneo”.

“Molte persone che mi hanno visto direbbero che la comprensione del gioco, della strategia e del lato tattico delle cose era un mio punto di forza. Spero, come allenatore, di riuscire a vedere il gioco attraverso gli occhi di Novak e di aiutarlo con la giusta strategia in campo”.

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