Diego e Caravaggio, vi lascio i capolavori

Maradona ha compiuto cinquant’anni. Niente illusioni. Sarà impossibile scrivere cose che non siano già state scritte. Dire cose non siano già state dette. Pensare cose che non siano già state pensate. A mio avviso è stato senza ombra di dubbio il più grande di tutti i tempi. Più grande anche di Pelè che non si […]

Maradona ha compiuto cinquant’anni. Niente illusioni. Sarà impossibile scrivere cose che non siano già state scritte. Dire cose non siano già state dette. Pensare cose che non siano già state pensate. A mio avviso è stato senza ombra di dubbio il più grande di tutti i tempi. Più grande anche di Pelè che non si mosse mai dal suo Santos. Mentre Diego Maradona la gloria è andata a conquistarsela lontano da casa. A diciotto anni era già un mito indiscusso. I suoi goal, i suoi dribbling, i suoi assist facevano impazzire gli amanti del calcio ad ogni latitudine. E non si sono più rivisti. Come non si è più rivisto un fenomeno di quella portata subire di tutto dai marcatori avversari senza mai una reazione. Gli avversari impazzivano nel vano tentativo di contenerne l’estro. E poi disperati lo mettevano giù (quando ci riuscivano). Lui si rialzava come se niente fosse e ricominciava a giocare. La sua correttezza in campo era proverbiale. Pensate che durante la sua permanenza in Italia fu espulso una sola volta. Per un errore dell’arbitro. Errore tanto evidente che il giudice non lo squalificò. Un’altra delle caratteristiche di questo ineguagliabile calciatore era la capacità di fare spogliatoio. Di tenere uniti i compagni in ogni situazione. In realtà descrivere compiutamente le caratteristiche del Pibe de oro è impossibile. O lo hai visto all’opera. E sei stato fortunato. O non lo hai visto nel qual caso non sai che cosa hai perso.
Eppure non è per tutto questo che tanto si è parlato e si è scritto di lui.
No, non è per questo. Ma per come ha vissuto. Certo potrebbe a suo modo ripetere con Pablo Neruda “Confesso che ho vissuto.”
Decisivo nella vita di Maradona fu l’incontro con Napoli. Il connubio tra due straripanti esagerazioni. Capaci di momenti di esaltante genialità artistica e di cadute nel più buio dei precipizi. Tra un affollarsi di volti truculenti e di ragazzini estasiati. E poi una volta che si sono lasciati, ognuno dei due ha continuato per la sua strada lastricata di eccessi. Come un sistema che oscilla fuori controllo. Tra estasi e incubi. Mi ricorda un altro personaggio eccessivo e geniale, il Caravaggio, che pure da Napoli passò e vi lasciò alcuni capolavori. E soprattutto le “Sette opere di misericordia.” Dove l’artista sintetizza in un unico quadro la brutalità e la tenera pietà di un vicolo di Napoli del ‘600. Personaggio e città che non conoscono la tranquilla e agognata monotonia della “normalità”.  Che si specchiano l’uno nell’altra. E si amano in modo istintivo e travolgente.
Più volte nella polvere più volte sugli altari, si potrebbe dire di Napoli e di Maradona.
L’incontro tra Maradona e la città di Napoli ebbe un suo culmine. Il 10 maggio 1987. Il giorno in cui il Napoli
vinse il suo primo scudetto. Sul muro di cinta del cimitero apparve la scritta “e che ve site perze”.
Pensateci bene. Alla presenza di Maradona a Napoli è legato uno dei rari  momenti nella storia recente di Napoli in cui è emersa con forza una identità collettiva con tutta la sua carica di potenzialità e di progettualità: penso proprio a quel primo scudetto. Trasformato in una festa di popolo. Che coinvolse tutti gli strati sociali cittadini. Vissuto come segno di una presenza forte e visibile sul piano nazionale. Come espressione di riscatto da frustrazioni antiche. Le cui radici affondavano ben più in profondità Ben al di là del mondo sportivo.
Se andate indietro con la memoria di momenti simili di recupero di identità collettiva ne trovate solo altri due. Il G7. La conseguente visibilità  internazionale. Tutta la città che si vedeva assegnato un ruolo di primo attore sul grande palcoscenico mondiale. E che quindi tutta intera partecipava allo sforzo organizzativo. Il Maggio dei Monumenti. Lo straordinario (e per lo più sconosciuto ai napoletani) patrimonio culturale d’improvviso diventa proprietà di tutti. E tutti si sentono impegnati a goderlo. Lo scoprono. Se ne impossessano. Lo tutelano.
Ma forse sono andato fuori pista. Eravamo partiti da un calciatore. Siamo finiti alla città. Ma come separare l’uno dall’altra? No. Sia chiaro. Maradona non è stato un eroe romantico. Né ideò disegni per il recupero di un’identità collettiva della città. Maradona era privo anche del minimo strumento culturale che lo aiutasse a capire dove andava. A metterlo in guardia dai tanti pericoli che ha corso. E ad evitargli i tanti errori che ha commesso. Ma il suo incontro con Napoli fu uno di quei fenomeni che avvengono per caso eppure appaiono predestinati.
Guido Trombetti

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