Il diesse del Nottingham Forest, Filippo Girardi, a Tuttosport. «Abbiamo tecnici prigionieri del tatticismo, l’anticipo della domenica è spesso disarmante».

Tuttosport intervista Filippo Girardi, direttore sportivo del Nottingham Forest. Il club che ha vinto più Coppe dei campioni che campionati in patria è tornato in Premier League dopo 23 anni. Il proprietario del club è l’armatore greco Evangelos Marinakis. Girardi parla della sua esperienza nel club inglese, dove si respira la storia già dall’arrivo allo stadio, che è rimasto esattamente com’era, senza modifiche, «in ossequio alla tradizione e in ogni partita sono presenti trentamila spettatori».
Il Nottingham non ha iniziato bene il campionato, ma poi ha sottratto punti a City, Liverpool e Chelsea.
«In molti hanno pagato a caro prezzo il salto di categoria. È vero, l’inizio è stato tremendo: quattro punti nelle prime otto partite potevano subito far vacillare la fiducia nell’operato di Steve Cooper. Eppure l’allenatore ha subito ricevuto rassicurazioni del club, ha registrato la fase difensiva e sono arrivati i miglioramenti. Anche questa è una differenza tra il Forest e molte realtà, comprese alcune italiane».
Sul mercato sono stati spesi 200 milioni di euro. Ma i soldi non sono tutto, dice Girardi.
«I soldi sono importanti, ma non bastano se non si dà continuità al lavoro. È vero: in gennaio abbiamo aggiunto gente esperta nell’organico, ma ciò significa poco. Qui quasi tutti sono in grado di spendere ma non si salveranno tutti. Specie in Inghilterra le neopromosse fanno fatica, però battere le neopromosse è faticoso. Non ha senso parlare dei segreti di una promozione, mantenere nel tempo un buon livello di competitività è la sfida più complicata».
Girardi parla anche dell’Italia, della Serie A e della Nazionale.
«Bisogna ripartire dalle infrastrutture e dalla formazione degli allenatori. Abbiamo tecnici capaci ma intrisi di nozioni e dogmi, prigionieri di un tatticismo esasperato. Senza contare come i nostri ragazzi si allenano: siamo indietro anche col pensiero. In troppe analisi sulla crisi del movimento italiano sento ripetere questa frase: «Tutti ci invidiano Coverciano». Ma chi la invidia? Dove? Forse era così fino a una ventina di anni fa, molte realtà sono profondamente cambiate senza che ce ne accorgessimo. E non solo in Inghilterra. Vedo allenamenti di ragazzi che
giocano, quando va bene, in una metà campo striminzita e allenamenti sospesi per pioggia. Le vere differenze sono di mentalità, ma ci sarebbe molto altro. La verità è anche che vendiamo male il prodotto. L’anticipo della domenica in Italia è spesso uno spettacolo disarmante, con gli stadi desolatamente vuoti. Perché dovrebbe avere appeal internazionale un evento così, se persino gli italiani lo snobbano? Se lo spot diventa autogol, è inutile».