E alla fine è andata così. Abbiamo perso. Neppure i napoletani hanno più alcuna speranza di vincere i Mondiali. Alzi la mano chi davvero pensava non sarebbe finita così. L’anarchia è stata brutalmente sconfitta dall’ordine, dalla disciplina e dalla precisione. La Germania è sembrata una raffinatissima macchina da guerra, sicuramente da lodare, vista la gioventù […]

E alla fine è andata così. Abbiamo perso. Neppure i napoletani hanno più alcuna speranza di vincere i Mondiali. Alzi la mano chi davvero pensava non sarebbe finita così. L’anarchia è stata brutalmente sconfitta dall’ordine, dalla disciplina e dalla precisione. La Germania è sembrata una raffinatissima macchina da guerra, sicuramente da lodare, vista la gioventù anagrafica della squadra. Certo, la sconfitta ci stava tutta, non altrettanto la disfatta, ma Diego è entrato in campo già demotivato, come demotivata era la squadra. A venti minuti dalla fine si sarebbe potuto ancora fare qualcosa. Quando Tevez ha provato a prendere in mano le redini del gioco ed a trascinare la squadra, sarebbero bastati un paio di inserimenti per risollevare, forse, le sorti di una partita che non ha divertito nessuno. Con Veron in campo ci sarebbe stata più lucidità, sicuramente una forza trainante in più. E Milito o meglio ancora Palermo, al posto di Messi probabilmente avrebbero anche fruttato un pareggio e la possibilità dei tempi supplementari. Magari sarebbe finita lo stesso in una vittoria alemanna, ma di misura, qualcosa di molto lontano da una dèbacle. Così non è stato. Seduta lì, alla Fondazione Sudd, continuavo a ripetere sotto voce: sostituiscilo, buttalo fuori, non c’è, non sta giocando, si è arreso, la squadra non lo riconosce come leader, non funziona, buttalo fuori. Ma Lui no, non ha voluto tradirlo, ci ha creduto fino in fondo o, forse, non ci credeva più neanche lui. Di certo non lo ha mollato, ha continuato a proteggerlo come ha sempre fatto.
Insomma, alla fine è andata così. E noi adesso siamo sconfitti due volte: la prima perché ci hanno privati del tifo nelle prossime partite (anche se non posso fare a meno di guardare con allegria all’Olanda, adesso) e la seconda perché ci hanno privati di quel pezzo di storia in giacca e cravatta che a bordo campo giocherellava con il suo rosario e ci faceva sperare, ad ogni partita, che finalmente sarebbe entrato in campo. Niente più Argentina, niente più Maradona. Fine della storia. La morale della favola sta tutta nella frase detta dall’amico napolista Roberto Napoli: in un mondo di regole chi è senza regole è destinato ad essere perdente. Il succo era questo, la lettera no, ma le parole esatte non le ricordo. Però è molto vero ed anche molto triste. Siamo condannati a subire passivamente regole, burocrazia, disgraziatissimi cavilli, paletti, briglie alla fantasia e all’improvvisazione perché non va bene, non si fa, non è così che si va avanti. E forse è per quest’ennesima bastonata che stamattina, almeno nella strada dove abito, erano miracolosamente scomparse tutte le bandiere argentine miracolosamente apparse dopo la sconfitta dell’Italia di giovedì scorso. Lavate via come con un colpo di spugna. Tutte tranne la mia. L’ho lasciata lì, anche se un po’ accartocciata dal vento, ripiegata su se stessa. Va bene, Diego non ce l’ha fatta, ma ammainare la bandiera a così poche ore dalla disfatta mi sembrava un tradimento, perciò ho deciso di lasciarla lì ancora un po’. Sarà come sostenerlo, povero Diego, che adesso già tutti a dire che non valeva niente come tecnico, si sa. È andata così. Adesso guardiamo avanti, al futuro del Napoli. Magari all’amichevole con l’Argentina al San Paolo. Ma sì. Vamos
Ilaria Puglia

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