Al gol di Palermo tutti in piedi

“Sono un uomo di cuore, non di interesse. Io non vivo di contraddizioni, come voi, che state sott’all’acqua”, parla così, il Professor Clemente, unico ospite ad un tavolo da tre giusto sotto alla tv. Ha deciso di guardare la partita da solo, voltando le spalle a quelli della Nisida e a noi napolisti perché, dice, […]

“Sono un uomo di cuore, non di interesse. Io non vivo di contraddizioni, come voi, che state sott’all’acqua”, parla così, il Professor Clemente, unico ospite ad un tavolo da tre giusto sotto alla tv. Ha deciso di guardare la partita da solo, voltando le spalle a quelli della Nisida e a noi napolisti perché, dice, “tifo per i greci perché sono fratelli di sangue” (dal tavolo accanto, quelli della Nisida dicono che, purtroppo, non dice così perché si è giocato la “bolletta”, ma che “sono 23 anni che va in vacanza in Grecia, a Carpatos, con famiglia e amici” e i greci pare non gli facciano pagare niente: “ogni anno noi usiamo la fotocopia della sua carta di identità e gli facciamo l’abbonamento, poi lui torna che è già il secondo turno di Coppa Italia…”
Ecco, il resoconto di un’altra serata di deliri e vaneggiamenti potrebbe aprirsi e chiudersi così. Non ci siamo contati, stavolta, e forse non ci siamo compenetrati a dovere: la partita dell’Argentina è destabilizzante, non invita a conoscersi, a scambiarsi parole, pensieri, opere e omissioni. Non si può non guardarla, non si può non guardare Lui. Ma dato che avevamo scelto come luogo di ritrovo il 10 maggio 1987, il ristorante di Bruscolotti, un pezzo del Napoli di Maradona, non potevamo che concentrarci su Diego. E poi, guardare Pal’e fierr mentre si gusta la faccia del Pibe in televisione non ha prezzo, così come guardare la faccia dei napolisti che lo hanno amato e continuano ad amarlo tanto mentre guardano quella di Bruscolotti. Qualcuno di loro dice “lui non si rende neppure conto di cosa ha rappresentato e rappresenta ancora per tanti di noi che l’hanno vissuto, non può saperlo”. E invece, secondo me, lo spirito napolista deve aver travolto anche lui, se la Storia si è fermata insieme a noi a ridere e chiacchierare.
Ero già stata da Bruscolotti prima, ma ieri Pal’e fierr mi è sembrato diverso, più felice e a me piace pensare che sia stato travolto dall’immagine di Diego in tv, dal gol di Palermo (ma quant’è stato bello il sorriso di Martin a Dieguito e l’abbraccio tra quei due, quanto?) e, soprattutto, dalla fratellanza napolista, che aleggiava nell’aria.
Il Professore non ha esultato al gol dell’Argentina: si è limitato a scuotere la testa, mentre, a sinistra, il Vate Fabbrini gli suonava la vuvuzela nelle orecchie e, a destra, Cappella agitava la vuvuzela elettronica del telefonino al capo estremo del tavolo napolista.
Al gol di Martin Palermo tutti in piedi ad applaudire, mentre lui grida “ci vogliono dieci Palermo per fare un Denis” e qualcun altro “dov’è Galluppi?” e qualcun altro ancora, ridendo “è partut’o Palermo”. Ma lui niente, insiste nei commenti tecnici: “Palermo, calcisticamente, è una puzza”.
Pausa sigaretta. Ci ritroviamo tutti fuori. E il Professore continua nelle sue esternazioni: “doveva essere una partita prudente, tranquilla, invece, “a finale” si sono accaniti. Dovevano semplicemente fare un piacere alla Grecia”.
Poi si addentra nella storia del calcio Napoli. Ma quando dice che il secondo scudetto partenopeo è stato merito di Moggi sentiamo una sola voce, stentorea, “di ferro”, che dice semplicemente <NO>. Zitti tutti: è la memoria storica che parla. E allora porgiamo le orecchie e cerchiamo di bere in coro la verità. E la voce continua “ha partecipato, ma in panchina c’era Bigon”.
Ecco, sarà un caso, ma la maglietta indossata dagli argentini, ieri, era blu, proprio come quella indossata da Diego nell’ultima sua vittoria contro la Grecia, prima di essere sospettato di doping. Sarà un caso, ma abbiamo pagato trentacinque euro a testa, esattamente come alla prima cena napolista, ma per amor di entrambe le serate non ci soffermeremo a fare paragoni.
Per quanto mi riguarda, ecco, una sola nota è risultata davvero stonata. Nel fumoir, sotto a tutte quelle foto storiche bellissime, un unico neo. Un quadretto con dentro incorniciato un foglio dattiloscritto. È un articolo, un articolo del Napolista. Parla di Mary Bruscolotti. L’ha scritto uno di noi, ma è senza firma. Il giornalista in questione, chiamato al telefono, assicura che non è un problema l’assenza di firma, anzi, che va benissimo così, basta che il suo pezzo sta là e raccomanda di salutare tanto Mary da parte sua. Quando mi chiedono se l’ho scritto io sono tentata di dire <sì>, ma poi mi ricordo che la classe non è acqua e che nonostante quel pezzo avrebbe dovuto essere mio sono ugualmente contenta sia di un napolista, un napolista che, però, non ha partecipato a nessuna delle due cene napoliste. Ecco la rivincita storica, la vendetta: io c’ero, tutte e due le volte. Gallo ed io ci facciamo immortalare stretti da Pal’e fierr manco fossimo due traverse di una porta gigantesca in cui fare gol. E vi assicuro che a sentire quella stretta si capisce chiaramente perché gli hanno dato quel soprannome. Ecco, in sostanza: io c’ero, anche ieri, io ho una foto con Bruscolotti. Io ho una foto con i napolisti e quelli della Nisida. Io tifo Napoli. Maurè, Tiè.
Ilaria Puglia

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