Enzo Maresca: «Gli scacchi per capire il calcio. Se piazzi bene i giocatori, hai vantaggi sull’avversario»
Il vice di Guardiola a Scacchitalia. «Negli scacchi il gioco di Pep sarebbe quello classico che mira al controllo del centro. Gli scacchi ti educano a un pensiero flessibile»

Frosinone 20/08/2021 - campionato di calcio serie B / Frosinone-Parma / foto Image Sport nella foto: Enzo Maresca
«Diciamo che è successo un po’ di anni fa, quando ho capito che la mia carriera di calciatore si stava concludendo, e ho iniziato a pensare che mi sarebbe piaciuto allenare. E gli scacchi hanno richiamato la mia attenzione, perché mi è parso che avessero tante cose in comune con il calcio. Quindi ho voluto conoscerli meglio»
Gli scacchi sono la grande passione di Enzo Maresca, allenatore salernitano (di Pontecagnano). Ex calciatore – anche alla Juve. Oggi per l’appunto fa il tecnico, l’ha fatto al West Ham. Quest’anno sarà il secondo di Pep al City. Lo intervista Ananio Casale per Scacchitalia. Proprio per parlare del rapporto tra il calcio e gli scacchi, un rapporto più solido, intrecciato, tormentato di quanto possa sembrare.
«Da un punto di vista tattico e strategico, nella necessità del controllo del centro, nella valorizzazione del fattore sorpresa, nella suddivisione delle fasi del gioco (apertura, medio gioco, finale) e nel gioco posizionale, che è la mia passione, sia per il calcio, che per gli scacchi. Guardando alle squadre che hanno fatto la storia del calcio, ad esempio il Manchester City e il Barcellona di Guardiola, o il Milan di Sacchi, un forte e compatto centrocampo, tecnicamente valido, offre dei vantaggi importanti, e ti consente di far passare buona parte del tuo gioco da lì. Secondo me chi ha il controllo del centrocampo ha il controllo della gara. Ovviamente se intendi usarlo. Se al contrario la tua idea è far passare subito la palla dalla difesa agli attaccanti, il centro non ti serve molto. In un certo senso è la contrapposizione tra gioco classico e ipermoderno: il gioco alla Guardiola è più simile a quello classico, in cui si punta all’occupazione del centro, quello “difesa e contropiede” assomiglia a quegli schemi in cui si apre di fianchetto, e si lascia il centro all’avversario».
Apertura, medio gioco e finale nel calcio. È una divisione temporale?
«No, è spaziale. Il “finale” del calcio rappresenta soprattutto l’ultimo terzo di campo, quella più vicino alla porta avversaria, dove rispetto all’organizzazione tattica della squadra diventa più importante la qualità del singolo, la sua capacità di fare un dribbling decisivo, o l’assist che manda il com- pagno in porta. Negli ultimi 25-30 metri devi trovare soluzioni individuali. E l’analogia è con il finale degli scacchi, dove spesso un solo pezzo, o un solo pedone, deve lavorare da solo, senza altri pezzi a supporto, sfruttando le sue qualità intrinseche».
Il fattore sorpresa.
«Il fattore sorpresa è legato al tempo, ed è una similitudine che riguarda, per esempio, le varianti di apertura. Se tu sai come l’avversario ha impostato la partita, e come lui immagina che tu l’abbia impostata, inserire una novità, un elemento di disturbo può riuscire a sorprenderlo. Questo non basta a farti vincere, però lo costringe a perdere tempo, e quindi ti regala un piccolo vantaggio. Mentre l’avversario tenta di capire cosa hai cambiato nel tuo schieramento, e se pure questa novità non gli crea danni, in qualche modo gli procura un disagio, che tu puoi sfruttare. In ogni caso, creare dubbi all’avversario, sconvolgere il modo con cui ha preparato la gara, è già un vantaggio piuttosto importante».
La gestione del tempo.
«Come negli scacchi, non puoi affidarti agli ultimi minuti del tuo tempo per vincere. Se tu sei in crisi negli ultimi cinque minuti, significa che nei primi 85 non hai giocato al meglio, che la tua tattica per vincere ha fallito».
Il gioco posizionale.
«Se si riesce a occupare il campo in modo efficace, e ogni giocatore mantiene la sua posizione, si costruiscono dei vantaggi che poi al momento opportuno puoi sfruttare: creare una superiorità numerica, ad esempio, oppure, anche senza superiorità, un “uno contro uno” in cui il tuo giocatore è più bravo dell’avversario. Gioco posizionale inoltre significa anche intuire i punti deboli dell’altra squadra e andarli a colpire: capire anche la strategia dell’avversario, dove ci sono delle debolezze, e qui piazzare i tuoi pezzi, o meglio i tuoi giocatori per ottenere dei vantaggi. Non solo in fase offensiva, ma anche quella difensiva, ad esempio allo scopo di recuperare palla velocemente. Il problema di questa impostazione è che serve un pensiero “controcorrente” perché non è facile entrare nella testa di un giocatore, che magari è stato educato a correre il più possibile, dovunque può arrivare, e fargli capire che invece mantenere la posizione, e magari correre meno ma in maniera più utile, e pensare un po’ di più, può procurare dei vantaggi a se stesso e al compagno di squadra. Magari non sarà lui a beneficiare di questo posizionamento, ma se, per fare un esempio riuscirà a tenere impegnati due giocatori avversari, consentirà di creare la superiorità in un’altra parte del campo».
Gli scacchi e il calcio. Molti condividono la passione di Maresca?
«Non tanti, per la verità. Uno di loro è il tecnico spagnolo Quique Setien, che nel 2020 ha guidato il Barcellona. L’anno scorso, quando allenavo il Manchester City under 23, ho fatto un esperimento: ho fatto piazzare nella mensa in cui i giocatori facevano colazione e pranzavano quattro scacchiere. Ebbene, piano piano i ragazzi hanno cominciato a giocare, e a socializzare: alcuni muovevano, altri sedevano vicino, intorno a loro, e guardavano. Era molto bello vedere anche perché i ragazzi normalmente sono sempre attaccati ai social, e per questo tendono molto a isolarsi. Invece gli scacchi hanno avuto il potere di invertire questa tendenza».
Gli scacchi e i calciatori.
«Più che per diventare calciatori migliori, sarebbe un training utile a ogni età per imparare certe doti fondamentali: anche solo il fatto di dover impiegare del tempo a ragionare, può aiutare da tutti i punti di vista, soprattutto una generazione abituata a stare ogni momento con il cellulare in mano. Il bello degli scacchi è che ti educano a un pensiero flessibile, perché quello che è vero adesso non è quello che sarà vero tra cinque minuti. Quando muovi un pezzo cambia completamente tutto lo scenario. E questa consapevolezza può servire sia a un bimbo dei “pulcini” che a un calciatore maturo»