Il Guardian: Ibra è un provocatore professionista, un “politico” che pensa solo all’auto-santificazione
"Non sostenere cause più grandi di lui, come fa Lebron, perché non crede che possano esistere cose più grandi di lui"

Zlatan Ibrahimovic quando parla degli altri, in realtà parla solo di se stesso. E se non può essere il protagonista assoluto di una cosa allora semplicemente sceglie di no farne parte. Perché tutto il suo lavoro è santificare se stesso, imporre il suo brand. Niente altro. Quando ha detto che Lebron James dovrebbe limitarsi a fare quello che è bravo a fare – giocare a basket – e non rivestire ruoli politici, “in realtà stava parlando di se stesso”. Ma non si stratta di un giudizio espresso casualmente. E’ anche una vera e propria strategia di marketing.
Jonathan Liew sul Guardian torna sulle ultime dichiarazioni di Ibrahimovic – che hanno fatto scalpore in tutto il mondo e scatenato la risposta dello stesso Lebron – per analizzare uan volta di più il fenomeno Ibra. Al di là del suo valore come atleta, Liew spiega come funziona la sua strategia di comunicazione totalmente autoriferita.
La “sua vera vocazione è fare dichiarazioni provocatorie su se stesso in terza persona, un campo in cui rimane completamente impareggiabile”.
Anche Ibrahimovic sa che sport e politica sono intrecciati da sempre. Ma in questo momento fa più scalpore dire il contrario:
“Zlatan costruisce il marchio: il provocatore professionista, il talentuoso generatore di citazioni, la testa di cazzo delle teste di cazzo. Eppure, se si legge tra le righe, forse è possibile intravedere qualche impulso più profondo nei commenti di Ibrahimovic, uno sfogo in gran parte spontaneo il cui obiettivo e il cui tempismo sembrano non essere casuali”.
“La mitologia ‘Zlatan’ può essere essenzialmente caratterizzata dalla ricerca del capitale personale,. Mentre traccia un percorso attraverso il calcio europeo, la visione del mondo che sviluppa è quella di un uomo che attraverso la spietata fiducia in se stesso e la dedizione può diventare l’unico autore del suo destino. E così i gol esagerati, i commenti sul calcio femminile, lo schiaffo di un avversario, la capacità di continuare ad giocare così a 39 anni: tutto questo nasce davvero nello stesso posto, un’affermazione del diritto del singolo a fare tutto quel che diavolo vuole”.
“Piaccia o no, è innatamente politico. La lotta per i diritti dei neri, al contrario, è un movimento sociale ampio e globale senza un’ovvia misura di vittoria. Non è una storia in cui Ibrahimovic può proporsi come protagonista assoluto. Il che non vuol dire che lui sia antagonista alla causa”.
“In qualità di sostenitore contro la fame nel mondo, come vittima del razzismo da bambino, avrebbe potuto scegliere di assumere un ruolo più importante nella lotta, partecipare al dibattito, essere un alleato. Ma farlo gli avrebbe richiesto di far parte di qualcosa di più grande e più importante di se stesso. E non è del tutto chiaro se crede che una cosa del genere esista”.
“Quando Ibrahimovic vede imporsi personaggi del calibro di James e Steph Curry e questa nuova classe di atleta-attivista, vede anche qualcos’altro: la strada non intrapresa, il calore e il plauso che avrebbero potuto anche essere suoi. Il tipo di grandezza sportiva che, per quanto ha ottenuto con un pallone, non è mai riuscito a toccare”.