La sconfitta col Milan modello Palmese e il ritiro voluto da Masaniello.
Adesso sarebbe sin troppo facile addossare le colpe dell’ennesima debacle campionatizia al gol subito a freddo, quando sulle reti nazionali andava in onda ancora l’almanacco del giorno dopo, e magari sciorinare il solito campionario di pur condivisibili ovvietà per giustificare la vergognosa prestazione della terza domenica di avvento. Per carità, si può essere chiaramente di […]

Adesso sarebbe sin troppo facile addossare le colpe dell’ennesima debacle campionatizia al gol subito a freddo, quando sulle reti nazionali andava in onda ancora l’almanacco del giorno dopo, e magari sciorinare il solito campionario di pur condivisibili ovvietà per giustificare la vergognosa prestazione della terza domenica di avvento. Per carità, si può essere chiaramente di diversa opinione e scovare, ingenuamente, la falla del naufragio nel golfo di san Siro nella banale incapacità di mettere la museruola al sanculotto rossonero, troppo libero di scorazzare a suo piacimento nelle desolate lande della metà campo azzurra. Sarebbe, tuttavia, un sunto inveritiero e comunque parziale, un voler dar credito a quelle teorie – ci si perdoni l’ardita allegoria – che vorrebbero spiegare i ritardi del cantiere della stazione metropolitana di piazza Municipio con il rinvenimento di antiche vestigia greche, gloriosa testimonianza del nostro illustre passato.
Il tifoso invece sa che per trovare una logica nella dura lezione impartita da un Milan solo di una spanna superiore alla Palmese dei miracoli di fine anni novanta è necessario scavare più a fondo, andare a rovistare nel nostro passato prossimo, allorquando Eleonora Pimentel Fonseca, la nostra amata sovrana ai tempi delle domeniche infuocate al Collana, all’insoddisfazione del popolo per la mancanza di un centrale di peso replicò con un neologismo destinato ad avere lunga fortuna da queste parti: “Sapete solo chiagnere!”. Troppo impegnata com’era nella diffusione dei neonati ideali repubblicani, la bella patriota non poteva di certo sapere che il Bonaventura ammirato all’Atalanta aveva ancora ampi margini di crescita, che nel Granducato di Corsica allevassero anche lungagnoni autorevoli e dai piedi educati e che alla ammirevole imperturbabilitá delle acconciature iberiche non corrispondesse un’altrettanto memorabile disciplina tattica. Il resto è storia nota: Eleonora pagò con il patibolo la sua inesperienza e la sua incapacità a trasmettere il progetto tecnico al popolo, ma almeno ebbe il coraggio e la forza di liberarsi di tutti i cattivi consiglieri che la circondavano, affrontando quel tragico finale di stagione con la dignità di chi sapeva di aver fallito, pur avendo coltivato il sogno di una vera rivoluzione.
E così il tifoso non può che fantasticare e illudersi che probabilmente nemmeno lei avrebbe tollerato un gran ciambellano di corte incapace di prevedere la forza dirompente di Menez, e talmente ingenuo da affidare la difesa del Maschio Angioino ancora una volta ad un Koulibaly più lento del registratore del Commodore 64, e quindi inadeguato a respingere le feroci scorribande dei pirati rossoneri. E senza dimenticare l’ennesima abiura del proprio credo, goffamente smascherata dall’aver schierato undici alfieri senza Hamsik, sempre più simile ad un triste Romolo Augustolo in attesa di essere deposto. Il gelato della scimmia, con cui il tifoso ha tentato di addolcire l’amarissima serata, ha avuto l’effetto di un the caldo nel freddo glaciale dell’animo azzurro. Intanto pare che Masaniello abbia spedito la squadra in ritiro, forse più per paura delle forche di piazza Mercato che nella speranza di una vera inversione di rotta.
Otto Tifoso