Cari tifosi, massacriamo il Napoli o facciamo la nostra parte per risolvere il problema?

Di fronte a un problema, l’umanità si divide in due diseguali quantità. Un’ampia fetta attende che qualcuno lo risolva. I pochi rimanenti ci provano da sé. Come è ovvio, i primi sono pieni di buoni consigli (e neanche un azzardo di cattivo esempio), possedendo sempre la soluzione, modificabile all’uopo secondo convenienza. Se alla fine il […]

Di fronte a un problema, l’umanità si divide in due diseguali quantità.

Un’ampia fetta attende che qualcuno lo risolva. I pochi rimanenti ci provano da sé.

Come è ovvio, i primi sono pieni di buoni consigli (e neanche un azzardo di cattivo esempio), possedendo sempre la soluzione, modificabile all’uopo secondo convenienza. Se alla fine il povero cristo venisse a capo della questione, loro ricorderanno che avevano indicato per primi esattamente quella strada. Se non ci riuscisse, loro ci sarebbero riusciti con una qualsiasi ricetta alternativa indimostrabile. Se il problema si definisse irrisolvibile, potrebbero averlo dichiarato dall’inizio o – versione più in voga nell’ultimo quinquennio – paleserebbero l’evidenza del complotto, tipo gli americani che si buttano giù le torri gemelle da soli.

Inutile dirselo: se il tipo non risolve il problema, una cosa è chiara: è colpa sua, non solo la mancata risoluzione, ma il problema stesso. Facciamo un esempio romanzesco, roba inventata di sana pianta: se per una vita ho votato un mio amico perché mi faceva dei favori, e questo poi causa un dissesto finanziario, la colpa è sua. Anzi: è un pezzo di merda che ha rubato e lo grido ai quattro venti.

Dunque, il Napoli sta giocando uno schifo. Abbiamo un problema.

Si possono fare due cose. Quella più glamour: massacrare questi giovanotti supponente guidati da un mezzo incapace pagato da un arricchito cafone. Così capiscono. Se poi si finisce in serie B o falliti, era chiaro sin dall’inizio e abbiamo fatto bene a massacrarli, noi che siamo autentici e certe cose le sappiamo. Se invece si risolleveranno, era chiaro fin dall’inizio che dovevamo massacrarli, perché noi siamo autentici e certe cose le capiamo. Il demerito è degli altri, il merito sempre proprio.

Oppure, ma è roba terribilmente démodé, ‘na cosa da mezzi ricchioni imborghesiti al soldo del padrone, decidere che il problema è anche nostro. E che un pezzo di soluzione è nelle nostre mani, quelle che si battono. Nelle nostre gole, quelle che sanno cantare (magari ‘o surdato ‘nnammurato). Nei nostri cuori, quelli che sanno mettersi accanto e suonare all’unisono. Dando coraggio, non togliendolo.

Dicendo: ti voglio bene anche se stai facendo il cattivo. E se sbagli ti sostengo. E solo quando sarai certo dei tuoi mezzi, perché ne saremo venuti fuori insieme, mi consentirai di dirti di non farlo più.

Ti sostengo perché io sono un tuo sostenitore, si dice proprio così.

Uno stadio pieno, urlante di gioia, che applaude i propri uomini, che li accompagna, che li fa sentire amati. Non vedo null’altro che possa fare chi voglia dare una mano a risolvere il problema.

Stare sugli spalti per gioire a prescindere, invece che a prescindere sulla riva del fiume ad aspettare. Che poi i cadaveri puzzano, mentre l’erba del prato profuma.
Andrea Camorrino

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