Perché in Italia si sbaglia a sottovalutare il fair play finanziario. Ecco cosa rischiano Inter e Roma

Inter e Roma sono i due club italiani nel mirino dell’Uefa per il fair play finanziario. Insieme a loro, non hanno convinto il Club Financial Control Body dopo il primo warning di un mese fa altre cinque squadre europee: Monaco, Besiktas, Krasnodar, Liverpool e Sporting Lisbona. E in altre sei dovranno comunque fornire ulteriore documentazione […]

Inter e Roma sono i due club italiani nel mirino dell’Uefa per il fair play finanziario. Insieme a loro, non hanno convinto il Club Financial Control Body dopo il primo warning di un mese fa altre cinque squadre europee: Monaco, Besiktas, Krasnodar, Liverpool e Sporting Lisbona. E in altre sei dovranno comunque fornire ulteriore documentazione prima di febbraio, quando arriverà il verdetto per tutte: Sparta Praga, Hull City, Panathinaikos, Ruch Chorzow, Lione e Wolfsburg (queste ultime due, le squadre di Gonalons e Perisic…). Ma cosa rischiano davvero questi club?

Il tema del fair play finanziario è poco sentito dal tifoso medio (soprattutto da quello napoletano, visto che il Napoli primeggia in questo aspetto), e tutto sommato rimbalza relativamente poco sulla stampa: si prende atto della notizia, dandogli lo stesso peso del richiamo della maestra agli alunni che non seguono la lezione, ma poi quello che conta alla fine sono i risultati. E quindi sì, Thohir ha fatto bene a mettere a libro paga anche Mancini, e chissenefrega se la Roma per allestire una squadra da titolo è andata (ben) oltre le proprie possibilità.

In realtà il FFP è una cosa seria, e all’estero se ne sono accorti: benché per loro non sia stato un problema pagare, lo scorso maggio il Manchester City e il Psg degli sceicchi sono stati multati entrambi di 60 milioni di euro, oltre a subire restrizioni sul mercato e la riduzione della rosa tesserabile per la Champions League. In particolare il City aveva accumulato perdite per quasi 200 milioni di euro nelle ultime due stagioni: oltre 100 milioni nel 2012, una settantina nel 2013. I francesi invece avevano i conti in ordine ma l’Uefa aveva pizzicato un sospetto contratto di sponsorizzazione con l’ente turistico del Qatar: 180 milioni l’anno.

Il fair play finanziario invece, come è noto, valutando su base triennale impone che i club non possano spendere ripetutamente più di quanto guadagnino e siano obbligati a pagare dipendenti e trasferimenti in modo tempestivo. Per la precisione, i club possono spendere fino a 5 milioni di euro in più di quanto guadagnano in ciascun periodo di valutazione (tre anni). Tuttavia, possono superare questa soglia entro un certo limite, se il debito viene coperto totalmente da un contributo/pagamento diretto da parte del proprietario(i) del club o di una parte correlata. I limiti sono: 45 milioni di euro per le stagioni 2013/14 e 2014/15, 30 milioni di euro per le stagioni 2015/16, 2016/17 e 2017/18.

Roma e Inter al momento sono ben oltre la soglia dei 45 milioni (circa 100 milioni il debito dei giallorossi, 180 quello del club milanese) e pertanto rischiano lo stesso tipo di sanzione di City e Psg (il regolamento Uefa prevede anche, in casi estremi, la detrazione di punti in classifica). A favore delle due italiane c’è da dire che l’anno scorso, su 76 club inizialmente considerati a rischio, solo in 9 sono stati alla fine puniti e soltanto City e Paris Saint Germain con un’ammenda pecuniaria. Ma se dovesse arrivare la maxi multa, quali potrebbero essere le conseguenze? Per la squadra di Manchester, con le sue possibilità, ben poche: ha appena superato la soglia dei 400 milioni di euro di fatturato per la prima volta nella sua storia, generando ricavi per circa 440 milioni e perdite per soli 29 milioni nonostante la sanzione subita a maggio. 

Questo perché il club dello sceicco Mansour ha visto in aumento tutte le voci legate ai ricavi: le entrate dalle partnership commerciali sono salite del 16% a quota 210 milioni e rappresentano la principale fonte di ricavo per i Citizens, anche grazie all’apporto di Etihad, il vettore di Abu Dhabi di proprietà dello stesso sceicco che ha acquisito i naming rights dello stadio, oltre a coprire il ruolo di jersey sponsor, seguiti dai diritti televisivi (167 milioni, il doppio rispetto all’esercizio precedente) e dai cosiddetti matchday revenue passati da 38 a 47,5 milioni di euro. E poi il decisivo nuovo contratto televisivo: per le sole gare di campionato, infatti, il City ha intascato 122 milioni di euro contro i 74 della stagione precedente.

Il debito dunque rimane, ma i segnali positivi chiesti dall’Uefa ci sono: il rapporto ingaggi-fatturato è sceso dall’86% del 2013 all’attuale 59%, e gli ingaggi sono appunto calati dai 258 milioni di euro (204,7 milioni di sterline) del 2013 ai 226,5 milioni di euro (179 milioni di sterline) del 2014. Il tutto lasciando la rosa altamente competitiva: nonostante il (momentaneo) flop in Champions League, la compagine di Pellegrini è pienamente in corsa per vincere un secondo titolo nazionale consecutivo. E’ messa meglio, per dire, degli spendaccioni Manchester United, Arsenal e Liverpool.


Ma Roma e Inter hanno questi numeri? Decisamente no. Quest’anno i nerazzurri prendono quasi 80 milioni di diritti tv e la Roma è ferma a 62 (1 milione più del Napoli). Con il nuovo accordo per il triennio 2015-2018, l’Inter dovrebbe salire oltre i 90 milioni e i giallorossi assestarsi sui 70-75 milioni. Per la Roma c’è anche la partecipazione alla Champions, che quest’anno ipotizzando una qualificazione agli ottavi potrebbe fruttare altri 30-40 milioni. Per il resto, non c’è molto altro: ad esempio la sponsorizzazione tecnica, entrambe con Nike, vale 18 milioni all’Inter e appena 4 milioni l’anno alla Roma (meno dei 7 presi dal Napoli con Macron). E i monte ingaggi non scendono, anzi: quello della Roma rasenta i 100 milioni lordi, praticamente quanto il fatturato operativo. Quello dell’Inter è, come il Napoli, a 70 milioni: verrebbe da chiedersi però come facciano Vidic, Palacio e Hernanes ad essere i tre più pagati, visto quanto e come giocano.

In attesa di vedere come va a finire, emerge già una verità. I club, per salvarsi (lasciando stare gli sceicchi), hanno bisogno di due cose: stadio e partnership forti (leggi Juve, in procinto di passare da Adidas che verserà 140 milioni in 6 anni, o lo stesso Milan, che ha appena firmato il maxi-rinnovo con Emirates) e/o gestione oculata, creando una realtà solida che sappia auto-finanziarsi senza rinunciare al progetto tecnico. Nel secondo caso, leggi Napoli.
Giuseppe Baselice

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