Il razzismo dietro una siepe. Balotelli: “Succede solo a Roma e a Firenze”

Un insulto gridato dietro una siepe a Coverciano. Una voce, forse due, ben nascoste. Così nascoste che il primo intervento dei carabinieri è andato a vuoto. Non è stato possibile individuare chi stamattina ha lanciato una frase razzista verso Mario Balotelli che si allenava con una maglia azzurra sulle spalle, la maglia dell’Italia. Fratello Mario […]

Un insulto gridato dietro una siepe a Coverciano. Una voce, forse due, ben nascoste. Così nascoste che il primo intervento dei carabinieri è andato a vuoto. Non è stato possibile individuare chi stamattina ha lanciato una frase razzista verso Mario Balotelli che si allenava con una maglia azzurra sulle spalle, la maglia dell’Italia. Fratello Mario ha fatto prima finta di niente, curioso pure questo. Il suo istinto lo ha portato nella direzione opposta a quello dove forse ciascuno di noi sarebbe andato. Il suo istinto lo ha portato a tenere la testa bassa e continuare a correre. Così il mondo del calcio gli ha fatto capire che è meglio non replicare a chi ti fa bruciare la pancia insultandoti per il colore della tua pelle. Replicare tacendo e andando avanti, sminuendo: “Non lasciate il campo, è un errore”. Quante volte Galliani e il Milan l’hanno ripetuto ai loro giocatori, dopo il caso Boateng. Finisce che Boateng se ne va dall’Italia, e l’Italia fa finta di credere che il razzismo non c’entri.

E’ successo di nuovo, stamattina. Ma dopo la prima reazione istintiva (il silenzio), Balotelli non si è tenuto tutto dentro, non ha fatto finta di niente. Nel silenzio di Coverciano, le sue parole rivolte a Marchisio si sono captate benissimo: “Succede solo a Roma e a Firenze”. Balotelli non ha sbucciato l’insulto e non l’ha mangiato, come Dani Alves fece con la sua banana: ci sono momenti in cui sdrammatizzare non fa bene alle campagne di civiltà. Balotelli ha puntato il dito. Ha individuato un’area in cui percepisce un disagio. Roma e Firenze. E’ passato qualche mese dalla notte in cui Mario scoppiò in lacrime allo stadio San Paolo durante Napoli-Milan: era stato sostituito, uscì tra i fischi del tifo rivale di Napoli nella notte in cui avrebbe voluto segnare un gol per la sua bimba, appena riconosciuta qualche giorno prima. Le lacrime di Mario furono il segno esposto di una fragilità emotiva: eppure si trasformarono in un gigantesco atto di accusa verso la città di Napoli, montato via Twitter con il contributo ostinato di una nota blogger egiziana. Una delle tanta campagne di denigrazione gratuita e sfocata con cui quest’anno la città ha dovuto convivere, come se non bastassero le sue effettive colpe.

Roma e Firenze, dice oggi Balotelli. E figurarsi se proprio qui vive la tentazione di associare un fascio a qualche filo d’erba. Le sue parole sono però importanti per un altro motivo. Ci dicono che nessun ambiente può sentirsi al riparo dalla malapianta del razzismo e dell’odio. Non la città che bolla certe manifestazioni – come scrisse Elena Amoruso – come il gesto di du’ bischeri. Non la città in cui un assalto ultrà premeditato a un gruppo di tifosi avversari è stato a lungo nascosto dietro la versione di un gesto isolato. Balotelli dice Roma e Firenze, ma dice soprattutto che dobbiamo guardarci negli occhi, noi che amiamo il calcio e che vorremmo vederlo restituito al tifo gioioso. Dice che per quanto ci sentiamo assolti, siamo tutti coinvolti. Quelli che siedono a cavalcioni sulle balaustre e quelli che si nascondono dietro le siepi.
Il Ciuccio

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