Fischiare è semplice. Costruire una mentalità vincente è un po’ più complesso

Da dove cominciamo? Dai numeri? O dai fischi? Cominciamo dai fischi. Il San Paolo ieri sera ha fischiato. Comprensibile. E legittimo. Dopo il 3-3 casalingo con l’Udinese. E nulla di nuovo, aggiungerei. Andatevi a rivedere i servizi di Napoli-Spartak Mosca, secondo turno di Coppa dei Campioni del 1990. Finì 0-0. Noi colpimmo tre legni; loro […]

Da dove cominciamo? Dai numeri? O dai fischi? Cominciamo dai fischi. Il San Paolo ieri sera ha fischiato. Comprensibile. E legittimo. Dopo il 3-3 casalingo con l’Udinese. E nulla di nuovo, aggiungerei. Andatevi a rivedere i servizi di Napoli-Spartak Mosca, secondo turno di Coppa dei Campioni del 1990. Finì 0-0. Noi colpimmo tre legni; loro nei minuti finali due. Il San Paolo fischiò. Di brutto. Da allora, per rivedere una partita di Coppa dei Campioni abbiamo atteso ventuno anni.

Smettiamola di dire che siamo il pubblico più caldo d’Italia. Non è vero. Ieri lo stadio ha seguito in silenzio la partita. Curve comprese. Ripetiamo, legittimamente. Ma tifare quando si segna è semplice. Detto questo, nessuna accusa e nessuna inversione dell’onere della prova. I protagonisti vanno in campo e stanno in panchina.

E passiamo ai numeri. Seconda partita casalinga senza vittoria. Nelle ultime quattro partite di campionato abbiamo totalizzato appena quattro punti. Abbiamo segnato sette gol e ne abbiamo subiti nove. Senza contare le cinque reti incassate da Marsiglia e Borussia. Per risalire all’ultima partita finita senza gol subiti bisogna tornare al 27 ottobre: Napoli-Torino 2-0. In Champions precedenti non ce ne sono: abbiamo subito reti in ogni partita.

Ripetiamo, per essere una squadra di Benitez – come ha giustamente ricordato ieri sera Panucci a Sky – sono numeri che hanno del clamoroso. Benitez, come abbiamo ripetutamente scritto, nasce sacchiano. È quanto di più lontano dall’idea di un calcio champagne, aperto, “zemaniano”. Eppure la realtà va guardata in faccia. Questo Napoli subisce tanti gol.

Alcuni li abbiamo analizzati qui. Ora, però, rivediamo la partita di ieri sera. E le critiche che stanno piovendo da ogni parte sul nostro allenatore e su questo modulo. Abbiamo preso due gol su calcio d’angolo, dove il modulo conta zero. E un altro gol lo abbiamo subito in seguito a una scellerata gestione del pallone nella nostra metà campo e – va detto – a una papera del portiere. Davvero pensate che sia colpa dei riposi concessi alla squadra, del modulo di gioco, dell’assenza di Cannavaro (sì, anche questo è stato scritto)? Francamente non possiamo accodarci. Non ce la facciamo. Abbiamo già detto che di bar sport ce ne sono fin troppi.

Poi, figurarsi, alcune cose le notiamo anche noi. Il Napoli fatica di più rispetto a inizio anno. Anche ieri sera il primo tempo non ci è parso all’altezza. Poi, però, ci ha pensato Pandev (con la complicità di una fantastico Higuain nell’azione del secondo gol) a restituirci serenità. Un uno-due da grande squadra. E veniamo al punto. Quello che noi consideriamo il punto. In vantaggio di due gol, una squadra sicura di sé, una squadra che si sente forte, non fa rientrare l’avversario in partita in quel modo. Il problema non è nel modulo (e tra l’altro Rafa è tutt’altro che un integralista, altro falso storico). Il problema è nella testa. Nella consapevolezza di sé. Le squadre sono vincenti nella testa. Le grandi squadre vincono soprattutto partite che non meritano di vincere. Questo è il punto.

Il che, chiariamoci, non è un’attenuante. Questo è un Napoli che sta cambiando pelle. Profondamente. Un Napoli che sta rivoluzionando il proprio gioco. E che, soprattuto, sta provando a rivoluzionare la propria mentalità. Per diventare vincenti. Ricordiamolo, vincenti. Parola che a Napoli, non ci offendiamo, suona un po’ straniera. Magari bastassero tre mesi. Poi, la classifica non ci sembra così tremenda. Comunque vadano le partite oggi, restiamo terzi in campionato e siamo in lotta per passare il turno di Champions. A noi non pare affatto una cattiva stagione, a meno che qualcuno non avesse cominciato l’anno pensando al triplete.

Scriviamo tutto questo senza concederci alcuna attenuante. Su tutte, quella delle assenze. Siamo rafaeliti anche per questo. Perché crediamo che con Benitez si possa costruire un impianto di gioco e una mentalità in grado di sopperire anche ad assenze importanti.

Infine una considerazione non marginale. C’è un progetto. Questo progetto porta la firma dell’allenatore (ricordiamo che su cinque acquisti non ne ha sbagliato uno); e del presidente. Se De Laurentiis non verrà mano al suo progetto, siamo certi che potremo prenderci grandi soddisfazioni. Rafa ha dato dimostrazione nel corso della sua carriere di non risentire delle critiche dell’ambiente. A Liverpool il primo anno gli diedero del pazzo per i suoi metodi di lavoro. Finì che lo osannarono per la conquista di una Champions passata alla storia. Anche l’anno scorso, al Chelsea, vinse un’Europa League e conquistò un terzo posto pur avendo i tifosi contro tutto l’anno. L’unico posto dove Rafa si è arreso – dopo aver vinto una Supercoppa italiana e una Coppa Intercontinentale – è stato a Milano, con l’Inter. Perché si era incrinato il rapporto con Moratti. Ecco, se De Laurentiis desse un segno non sarebbe male. Lo abbiamo detto più volte. E lo ripetiamo. Caro presidente, se ci sei, batti un colpo. Magari per ricordare la lezione del Borussia Dortmund: non bastano dieci sconfitte a rinnegare un progetto. Figuriamoci un pareggio per 3-3.

Insomma, dopo quei fischi aspettammo ventuno anni per rivedere la Champions. Noi tutta questa pazienza non ce l’abbiamo.
Massimiliano Gallo

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