Nevio Scala: «Ricordo la visita a Tanzi ai domiciliari: la villa spoglia, senza quadri. Una parabola umana dolorosa ma formativa»
Al Domani: «Sono nato agricoltore, è la mia vita. Nel calcio non si inventa nulla». Quando Gattuso lo abbandonò dalla sera alla mattina. Lo sente ancora? «No»

Db Milano 05/04/2016 - funerali Cesare Maldini / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Nevio Scala
Nevio Scala: «Ricordo la visita a Tanzi ai domiciliari: la villa spoglia, senza quadri. Una parabola umana dolorosa ma formativa»
Settantasette anni, un passato da contadino e un futuro da contadino. In mezzo, una «parentesi» lunga più di quarant’anni, chiamata calcio. Nevio Scala parla al Domani, intervistato da Luca Cardinalini, come ha sempre allenato: con calma, senza slogan, con la forza di chi ha conosciuto la terra prima dei campi sportivi. Ha vinto tanto, ma non ama contare i trofei: preferisce ricordare i volti, le mani, le vigne. Oggi, tra filari e botti, racconta il suo viaggio da mezzadro a mezz’ala, da provincia a leggenda.
È vero che lei dice sempre: “Sono nato agricoltore e agricoltore morirò”?
Sì, è così. Sono nato agricoltore 77 anni fa e agricoltore morirò, magari nel 2125, a 177 anni (ride). In mezzo c’è stata una parentesi, quella del calcio. Una parentesi lunga più di quarant’anni, che mi ha dato successo, soddisfazioni e la possibilità di ricomprare la cascina dove sono cresciuto. Ora ho un’azienda agricola raffinata, tutta biologica. Il cerchio si è chiuso.
Il periodo di Parma resta quello più luminoso.
Sono stati sette anni favolosi. Avevamo una presidenza forte — Ceresini, poi Pedraneschi con dietro la Parmalat —, un preparatore atletico super come Ivan Carminati e un gruppo di ragazzi che si legarono subito. Quando tutto si lega così, nessun traguardo è irraggiungibile.
Lei non ha mai detto “il mio calcio”.
Mai. Non si inventa nulla, il calcio è sempre quello. Io non facevo schemi con i piatti a tavola: parlavo all’anima dei giocatori. Dicevo loro che umiltà e semplicità sono le ali per le grandi imprese, che bisognava divertirsi e far divertire.
E quel Parma fece scuola.
Sì, perché non era un gruppo di campioni già fatti, ma di ragazzi cresciuti insieme. Penso ad Alessandro Melli: scartato da Sacchi e Zeman, ma diventato un simbolo con noi.
Trent’anni fa fece esordire Buffon.
Sì, novembre 1995, Milan-Parma. Si era fatto male Bucci, doveva giocare Nista. Il venerdì portammo in prima squadra un ragazzo della Primavera: Buffon. A fine allenamento nessuno riusciva a segnargli. Dissi al preparatore: “Stai vedendo anche tu quello che vedo io?”. “Sì”, rispose. Gli dissi che pensavo di farlo debuttare a San Siro. Mi guardò e disse: “Non c’è problema”. Il problema era dirlo a Nista. Ma fu lui stesso a dirmi: “Mister, faccia quello che pensa giusto”. Questo era il clima del Parma.
Poi la parabola Tanzi, la Parmalat…
Dalle stalle alle stelle e poi di nuovo alle stalle. Ricordo quando, con il permesso del giudice, insieme a due giocatori andammo a trovare il patron agli arresti domiciliari. La villa spoglia, senza quadri, un solo divano. Una parabola umana dolorosa ma formativa, se la sai leggere.
A Perugia, dove retrocede in B, una mattina si sveglia e non ritrova più il (futuro) cittì della Nazionale, Gattuso. «Rino aveva deciso di andare in Scozia, al Glasgow Rangers, se ne andò nottetempo». Lo sente ancora? «No».
Segue ancora il calcio?
Poco o niente. Mi intriga Gasperini, mi piaceva all’Atalanta e spero faccia qualcosa di simile — non di uguale — a Roma.
Ha sentito che Lamine Yamal forse non farà più autografi gratis?
Mi dica che non è vero, la prego. Non voglio crederci.











