Verratti: «In Italia c’è una parte di calcio malata ed egoista, non fanno giocare i giovani per salvare la loro pelle»

A Footmercato: «Come socio del Pescara, voglio in futuro dare l'opportunità ai giocatori che lo meritano. Il Psg ora gioca da squadra; Fabian ha dimostrato di essere incredibile».

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Db Palermo 24/03/2022 - Playoff Qualificazioni Mondiali Qatar 2022 / Italia-Macedonia del Nord / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Marco Verratti

Marco Verratti, che ora milita nel club di Doha Al Duhail, ha rilasciato un’intervista a Footmercato sul suo ex club, il Psg, l’addio di Gigio Donnarumma e i Mondiali 2026.

L’intervista a Verratti

Giochi in Qatar da più di due anni. Eri all’Al Arabi e ora indossi la maglia dell’Al Duhail. Com’è stata la tua integrazione nel calcio qatariota?

«Sono molto felice, sono passati due anni e mezzo e mi sento sempre meglio. È un posto incredibile dove tutto va un po’ più lentamente. E’ quello di cui avevo bisogno. Mi godo molto di più la famiglia. Sono davvero felice qui, anche dal punto di vista calcistico. È un campionato diverso dalla Francia. Ma ci sono giocatori molto bravi, sto anche cercando di aiutare la squadra a crescere. Sono in un grande club. Sono abituati a vincere qui, quindi è facile. Rispetto alla mia prima stagione, le cose sono già cambiate molto. Le squadre sono molto più organizzate, ci sono molti allenatori che vengono dall’estero che, tatticamente, sono preparati. Anche i giocatori del Qatar sono molto forti, lo hanno dimostrato nelle ultime edizioni della Coppa d’Asia, e si sono qualificati per la prossima Coppa del Mondo. Tutto questo perché hanno lavorato bene con i giovani. Hanno ottime strutture».

Come descriveresti la passione del Qatar per il calcio?

«La grande differenza è che qui tutto è più tranquillo. I tifosi a volte mi fermano per strada. Non ci sono molte squadre. Ci sono tre o quattro grandi squadre che sono le più importanti a Doha. In Europa la passione è incredibile. In Qatar c’è un altro tipo di passione. È anche una città in cui puoi fare molte altre cose al di fuori del calcio. Ci sono molte culture diverse, tutti abbiamo il nostro modo di vivere. Quando arrivi qui, sembra che tutti siano più lenti. Adoro questa impressione perché puoi vedere chi davvero si gode la vita». 

Da leggenda del Psg, come hai reagito alla vittoria della Champions League? La gioia della vittoria, l’amarezza di non essere in campo o un mix di queste due cose?

«Non ho mai avuto questa cosa in mente. La verità è che sono davvero molto vicino a tutte le persone che hanno fatto crescere il Paris Saint-Germain e soprattutto ora che sono in Qatar, vedo ancora di più tutte queste persone. Sono davvero felice perché alla fine penso che ognuno di noi abbia messo una piccola pietra per far crescere questo club. Il modo in cui hanno vinto è stato magnifico perché se lo sono meritato, hanno vinto con una partita magnifica. Prima avevo un po’ l’impressione che all’estero il Psg fosse visto come la squadra che comprava giocatori con l’obbligo di vincere subito, in Champions hanno vinto con una squadra giovane che sta giocando bene».

Quindi possiamo dire che il Psg è finalmente guarito dai suoi traumi passati?

«È stato come un sollievo anche per me. Penso che il progetto ora sia iniziato su una grande base. È più facile riconquistare la Champions quando l’hai vinta la prima volta, perché sai che ci sei riuscito, sai che con il lavoro può succedere di tutto».

Quali differenze noti tra il Psg di oggi e quello che conoscevi?

«Oggi è diverso. La squadra viene prima di tutto. Dall’esterno sento questa sensazione che se un giocatore si infortuna, l’altro entra e non cambia nulla. Non sono i giocatori individualmente che sono i più importanti, ma è il collettivo. Hanno giocatori molto forti come Dembelé e Kvaratskhelia. Ma penso che soprattutto aiutino la squadra».

Come giudichi l’ambiente del Paris Saint-Germain oggi? 

«Fabian aveva avuto un momento difficile. Oggi è un giocatore che tutti rispettano. Quando ero a Parigi, tutti dicevano che Fabian non era un giocatore da Paris Saint-Germain. Ma l’ho visto tutti i giorni, è un giocatore molto intelligente per il calcio di oggi, specialmente in una squadra di Luis Enrique. È un calciatore incredibile, perché sa attaccare gli spazi, detta il ritmo del gioco, conosce il calcio».

Hai parlato con Gianluigi Donnarumma?

«Penso che sia rimasto un po’ deluso. E’ normale. Aveva appena vinto la Champions League essendo uno dei giocatori più importanti della stagione. Ha dimostrato di essere un grande portiere, ha risposto presente nelle partite in cui c’era bisogno. Penso che anche noi italiani abbiamo vinto l’Europeo grazie a lui. Ma è stata anche una decisione di Luis Enrique, che vuole sempre cambiare. Vuole sempre dimostrare che nessuno è intoccabile. Penso che abbia fatto bene ad andare al Manchester City in Premier League, in un nuovo campionato».

Pensi che l’Italia sarà finalmente in grado di scacciare i vecchi demoni per qualificarsi alla prossima Coppa del Mondo?

«Lo spero. Ci sono generazioni che non hanno visto l’Italia ai Mondiali, come i miei figli. Sarà complicato perché anche le altre volte che siamo stati eliminati, abbiamo vissuto circostanze incredibili. Avevamo battuto il record di 35 partite consecutive senza sconfitte e ci siamo ritrovati fuori dalla Coppa del Mondo. Oggi abbiamo un allenatore che ha una grande voglia di vincere. Deve trasmetterla ai giocatori. A marzo, abbiamo bisogno che tutti siano preparati per queste due partite. Spero che la fortuna sia dalla nostra parte».

Hai recentemente acquistato delle quote del Pescara. Sembra che tu abbia già trovato il tuo futuro lavoro…

«Ho comprato la squadra dove sono cresciuto. Ora siamo in Serie B. Volevo restituire qualcosa alla città che mi ha permesso di fare tutto quello che faccio oggi. Ritiro? Non lo so, ci penso anno dopo anno. Mi sento molto bene. Penso di non essermi mai sentito così bene. Vedremo cosa faremo il prossimo anno».

Come spieghi uno sviluppo quasi nullo dei giovani talenti italiani negli ultimi anni?

«Penso che in Italia ci sia un lato del calcio malato ed egoista, si cercano solo i risultati. Ad esempio, un direttore sportivo e un allenatore preferiscono vincere subito le partite, invece di far crescere un giovane. Pensano alla loro pelle e vivono per i risultati. Non vediamo granché per il futuro, ma è anche quello che voglio fare con il Pescara, per dare l’opportunità ai giocatori che lo meritano».

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